Continua a far discutere la pirateria nello sport tv in Italia, una piaga per cui da più parti si levano grida di dolore. Specie da chi si occupa di tutelare il consumo legale degli eventi trasmessi e che denuncia come questo fenomeno sia ormai una mazzata a livello economico. Chi studia questa piaga non ha dubbi: anche le scontistiche offerte da paytv e piattaforme streaming, come la scelta di Dazn di proporre fino al 19 marzo tre mesi di abbonamento a 69 euro anziché a 119,97, ma solo nei negozi del sud Italia e delle isole, alla fine non risolvono il problema e risultano «solo dei pannicelli caldi». Una scelta geografica che Dazn motiva come pura decisione commerciale e di marketing ma che ha fatto storcere il naso a molti, poiché questa offerta di fatto combacia con alcune delle zone in Italia dove la pirateria è più diffusa. E questo, stando ai risultati dell'operazione "Gotha" del novembre scorso. All'epoca la polizia postale, coadiuvata da un lavoro di consulenza della Fapav (Federazione tutela contenuti audiovisivi e multimediali), aveva colpito duramente questa rete illegale che forniva servizi pirata di abbonamento, con 900mila utenti coinvolti e circa il 70% del mercato illecito italiano. Un gruppo criminale con il vertice operante tra Catania, Roma, Napoli, Salerno e Trapani, con clienti sparsi per lo Stivale, ma concentrati prevalentemente al sud e al centro. E in alcuni casi al nord. Le città con più «abbonati» pirati sono risultate Avellino, Bari, Benevento, Catania, Cosenza, Fermo, Messina, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Salerno, Siracusa, Trapani e Taranto. Ma anche Ancona, L'Aquila, Roma, Perugia, Pescara, Bologna, Brescia e Novara. Tutta gente che pagava cifre intorno ai dieci euro per ottenere un abbonamento completo alle varie piattaforme, risparmiando parecchi soldi, d'accordo, ma in maniera fuorilegge.
«La cosa assurda è che molti di questi clienti, una volta carpiti i segreti, si sono trasformati in rivenditori a loro volta di sistemi illegali, alimentando continuamente il sistema», spiega il presidente di Fapav, Federico Bagnoli Rossi, in prima linea in questa battaglia. «Non si tratta di criminalità organizzata, ma di persone che ragionano in maniera criminale; è gente comune che ha iniziato a pensare di farci dei soldi, perché nello schema piramidale della pirateria nessuno fa questo mestiere gratis - prosegue Bagnoli Rossi -. Non esistono Robin Hood che vengono in aiuto dei poveri, ma solo persone insospettabili che puntano a guadagnarci. Con il vero obiettivo rappresentato dall'acquisizione di dati personali per il furto d'identità su internet, altra attività molto redditizia». Fapav, tra l'altro, assieme alla fondazione Ipsos di Nando Pagnoncelli, nel 2021 aveva redatto una ricerca sul fenomeno della pirateria nello sport e sull'utilizzo del cosiddetto "pezzotto", proprio quel tipo di abbonamento ottenuto a pagamento per via illegale. Un fenomeno che stando a questo studio aveva portato a 11 milioni di fruizioni perse e a una perdita di 267 milioni di euro l'anno. Cifre che combaciano all'incirca con le stime della Lega calcio di un miliardo di euro perso in tre anni. Un 2021, sempre secondo la ricerca Fapav-Ipsos, in cui le attività pirata erano state 32,5 milioni con una crescita del 5% sul 2019.
L'identikit di questi clienti è di persone che non si rendono conto del danno economico provocato; parliamo di un'utenza soprattutto maschile e di un'età che nel 37% dei casi non supera i 35 anni.
Non il tipico smanettone informatico, ma gente che ha un lavoro normale, a volte è persino benestante, che potrebbe comprarsi tutti i vari abbonamenti in streaming e non lo fa per motivi quasi di rivalsa personale. Togliere questo tipo di sentimento è uno degli obiettivi primari per cancellare la piaga della pirateria.
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