Un oro ti ruba quattro anni di vita, figuriamoci due ori. Il tiro a segno alle Olimpiadi non è solo una sequenza di spari, ma una battaglia che ti prende allo stomaco, anche se sei sugli spalti. «Un oro ti ruba quattro anni di vita che nessuno ti ridà indietro» ha detto Niccolò Campriani, che a Rio appunto ne ha vinti due e li ha vissuti con quello strano sentimento di chi ama e chi odia allo stesso tempo. Visto da vicino Niccolò è più di un ingegnere: è un filosofo. Ascoltato da vicino capisci che sparare è una terapia, soprattutto se si tratta di piccoli pallini contro un bersaglio di cartone: «Io non ho mai mirato contro nessun essere vivente, io ho solo la mia carabina. E la mia solitudine». Così dagli spalti abbiamo visto Niccolò, abbiamo gioito per i suoi successi. Perché ogni spazio tra un colpo e un altro era un crampo nella pancia, ogni suo sparo una liberazione. Anche l'ultimo, che non ha tirato Campriani: il suo avversario Kamensky doveva fare il minimo per vincere e invece ha fatto peggio.
Niccolò ha sorriso beffardo e da allora non ha più sparato un colpo: «Deciderò a mente fredda». Sono passati mesi, la carabina tace. E noi che grazie a lui abbiamo capito cosa vuol dire un'Olimpiade, aspettiamo di riempire lo spazio.
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