Cari, carissimi giovani italiani Costano tanto, nessuno li prende

Da Chiesa a Verdi, da Cristante a Barella: presidenti e procuratori sparano cifre folli e così le società puntano su stranieri o veterani

Cari, carissimi giovani italiani Costano tanto, nessuno li prende

C'è una contraddizione di fondo che riguarda il calcio italiano, appena fatto fuori dai Mondiali. L'idea prevalente è che la sua crisi sia dovuta all'invasione degli stranieri, dimenticando che quando nel 2006 vincemmo la quarta coppa del mondo in serie A ce n'erano già parecchi. Semmai erano molto migliori di quelli attuali e costringevano i nostri a eccellere per non perdere il posto in squadra, laddove da lì in poi c'è stato un progressivo livellamento verso il basso. Oggi che «il campionato più difficile del mondo» è un lontano ricordo, per un giovane italiano che vuole arrivare al top non c'è tempo da perdere: deve arrivare presto in una delle poche squadre di valore europeo che ancora abbiamo, altrimenti rischia di incagliarsi a un livello che può bloccarne la crescita.

E qui arriviamo alla contraddizione, che in questi giorni di mercato torna ad essere di stretta attualità: i giovani italiani costano tanto. Troppo. Ed è anche per questo che faticano a trovare spazio, perché spesso i club scelgono di pescare all'estero giocatori di valore equivalente a un prezzo molto più accessibile. Vengono messi all'indice come traditori della patria ogni volta che la nazionale fallisce un obiettivo ma i risultati premiano anche società come la Lazio di Lotito, che non compra un giovane italiano da tempo immemorabile, o l'Udinese che per mettere insieme un quartetto come Widmer-Barak-Jankto-De Paul ha pagato un quarto di quello che l'Inter sta spendendo per Gagliardini.

Se i giovani italiani costano tanto non è solo colpa loro e dei loro procuratori, che comunque le sparano grosse fin dai primi anni di carriera. A fare il prezzo dei cartellini sono i presidenti e specialmente quelli delle medio-piccole, che accusano spesso i grandi club di non puntare sui talenti di casa nostra, quando ne hanno uno per le mani chiedono cifre fuori mercato rallentandogli la carriera o mettendogli un macigno sulle spalle. Esempi? Ce n'è a bizzeffe, da Cairo che quest'estate chiedeva 100 milioni per Belotti - e che forse adesso si sta mangiando le mani per averne rifiutati una sessantina - ai Della Valle che ne hanno incassati 40 per Bernardeschi e per Chiesa non vogliono un centesimo di meno, per arrivare ai nomi caldi di questi giorni: 25 milioni per avere Verdi o Barella, anche di più per Cristante. Cinquanta miliardi delle vecchie lire per ragazzi che la maglia azzurra più stinta degli ultimi sessant'anni l'hanno a malapena sfiorata.

Ma non ci sono innocenti, non possono definirsi tali nemmeno le società che spendono tutti questi soldi e poi lasciano l'investimento a marcire in panchina, perché per vincere subito funziona di più l'usato sicuro. Gli allenatori non hanno tempo di costruire, se perdono tre partite di fila rischiano il posto.

Perché i tifosi e i giornalisti, gli stessi che quando la nazionale si fa eliminare dalla Svezia si riempiono la bocca di vivai da ricostruire e di giovani da lanciare, quando i ragazzi non ingranano in un minuto e mezzo si stufano, li mettono via come giocattoli rotti. E gli rinfacciano le cifre che sono costati, come un marchio d'infamia che si porteranno dietro per sempre.

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