Dedicato a chi, negli anni, ha messo in dubbio il suo valore, scambiando la delicatezza di una ragazza con una presunta fragilità agonistica. Scambiando la più pura stoffa del campione con le grinze di un tessuto grezzo. Dopo Torino e dopo Vancouver, qualcuno disse che forse Carolina non era una campionessa. E furono le stesse persone che le avevano affidato il ruolo di portabandiera ad un'età in cui i giochi son quelli di bimba e non quelli olimpici. Quella bandiera, negli anni, per Carolina è pesata come l'arcolaio per Aurora, la "bella addormentata" della fiaba che ora ha un lieto fine. Carolina Kostner, 27 anni, da Ortisei, si prende un bronzo olimpico che vale una carriera. E questa medaglia è forse l'unico risultato legittimo in una gara dove la giuria non è riuscita a non mettere lo zampino. Sì, perché Carolina, perfetta nel suo Bolero, non poteva essere lasciata fuori dal podio, mentre davanti a lei la lotta non è stata solo fra altre due ragazze, ma anche con i giudici. Alla fine di una lunghissima serata nell'ice palace di Adler, vince la Russia padrona che, orfana di Plushenko, piazza Adelina Sotnikova davanti alla coreana Kim Yu Na. Diciassette anni per la baby russa, milioni in banca per la coreana, campionessa olimpica uscente che si ferma all'argento.
Il podio era affare di questo trio: Adelina, Kim, Carolina. Questo è un dato sicuro. Ma le sorti potevano essere mischiate. Sotnikova, è vero, compie un salto triplo più di Yu Na kim che le vale uno stellare 149.50, ma il suo "Rondò capriccioso" sembra non reggere il tango di Piazzolla made in Corea che però frutta a Kim "solo" 144 punti. L'onda lunga del mar Nero è calma, si ferma quasi ad ascoltare un verdetto non puro come il ghiaccio dove si lotta invece ad armi pari.
Carolina scende in pista prima di tutte, pattina come sa, si inclina solo un volta, in un ritberger quasi come la torre di Pisa, per il resto è perfetta. E quando finiscono i salti lei cambia marcia e comincia a divertirsi incantando il pubblico con la sua sequenza di passi e trottole in un Ravel scatenato. Finalmente unica. Finalmente in lacrime, solo al "kiss and cry" a guardare il suo 142.61. A saldo e stralcio di due Olimpiadi andate storte e di una carriera da tempo d'oro. Inutile provare, stavolta, a spodestare la bella principessa che sul ghiaccio non si è mai addormentata. E non importa se sul rink alla fine del suo programma non arrivano nè fiori nè pupazzi, o comunque molti meno che alle atlete di casa. Questa volta non ce n'è per nessuno. Ad insidiarla aveva provato Mao Asada che deve aver letto quel cartello sulle tribune "Believe in Maoself", insomma: provaci ancora, Mao. Dopo il corto che due giorni fa l'aveva precipitata in sedicesima posizione, perfino dietro a Valentina Marchei - che poi chiuderà undicesima -, la giapponese si è attaccata alle sue lame d'oro ed è risorta, ma non è andata oltre il sesto posto, fermando la sua rimonta alle spalle dell'altra baby russa, la campionessa europea Yulia Liptinskaya, che sulle note di Schindler's List, cade di nuovo e rimanda ai prossimi Giochi la rivincita. Carolina piange e ride, è nella storia, seconda medaglia olimpica del ghiaccio dopo Barbara Fusar Poli e Maurizio Margaglio. Lei sibila la sua gioia con la paura di graffiare, lei che per mestiere deve farlo sul ghiaccio, nella vita ha sempre articolato parole come carezze: «Questa medaglia è una magia. Anzi, tutto il cammino fin qui è stato magico grazie a chi ha continuato a credere in me».
Non trova quasi le parole e allora ecco un simbolo, che per lei immaginiamo lontano: «E' la ciliegina sulla torta». Già, su una torta che non spesso avrà gustato fra sacrifici e impegno. Ora sì, Carolina, è venuto il tempo. Per mordere la vita, non più solo il ghiaccio. Chapeau, campionessa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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