«Essere un capitano significa avere cuore e intuizione, ma un bravo capitano non deve avere né l'uno né l'altra». Parola di Philo Taylor Farnsworth, inventore statunitense di inizio secolo, che ai campi sportivi preferiva i laboratori scientifici dove il lavoro di squadra ha bisogno solo di leader cinici. Privi di fascia al braccio. Un'esclusiva invece dei capitani nel calcio. Figure un tempo sacre (ora più prosaiche) alle quali Gianfelice Facchetti (figlio di Giacinto, e non serve aggiungere altro) ha dedicato un libro per rivivere anche l'emozione di valori perduti: impegno, orgoglio, lealtà. La dichiarazione d'intenti è racchiusa nel titolo del suo saggio antologico: Capitani. Miti, Esempi, Bandiere (Piemme. Pagine 218. Euro 18,90). Il capitano «non è migliore degli altri, è semplicemente diverso», sostiene l'autore; «Esseri speciali che sono un'autentica cura per il calcio malato di oggi», ha annotato Massimiliano Castellani su Avvenire. Peccato che il «capitano» come possibile antidoto al football velenoso dei giorni nostri sia un'illusione. Scorrendo le storie dei protagonisti selezionati da Facchetti emerge la differenza abissale tra le luminose figure del passato e le sbiadite figurine dell'odierna era pallonara dove davanti all'ingresso di ogni spogliatoio verrebbe da esporre un cartello con scritto: «Cercansi Capitano disperatamente...». E invece, niente. Uomini veri fin da giovanissimi come Virgilio Fossati non ne esistono più: luiche già 18 enne indossava la fascia all'epoca del primo scudetto interista (1909-1910) e che, tre anni dopo, si arruolò volontario morendo eroicamente sul Carso. Stessa sorte per Erminio Brevedan (Milan), Enrico Canfari (Juventus), Felice Milano (Pro Vercelli), James Spenseley (Genoa): i «grandi caduti» del calcio, capaci di smentire Churchill secondo cui «gli italiani vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra». La metafora bellica sul football è roba vecchia, così come l'immagine poetica del «O Capitano! Mio Capitano!» di Withman, adesso attuale non più di un gettone telefonico. Di condottieri «etici» con la fascia al braccio non se ne vedono più almeno da un'era geologica. Viviamo in un mondo dove l'arroganza è scambiata per carisma e la furbizia per intelligenza. Tra gli ultimi campioni di una razza estinta rimangono nella memoria proprio il padre di Gianfelice e pochi altri come Riva, Scirea, Di Bartolomei ormai in cielo con i loro colleghi leggendari Valentino Mazzola e Silvio Piola.
Quando il calcio già cominciava ad ammalarsi di scandali abbiamo poi ammirato altri capitani più o meno coraggiosi: da Del Piero a Totti. Icone per tifosi. Ma nulla di epico.E oggi? Le fasce da capitano - griffate come da disciplinare federale - adornano il braccio dei nuovi idoli di carta. Con poca gloria. Ma tanto marketing.
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