L'esito positivo (5 a 1 sul Cagliari) del primo pugno di ferro, adottato da Pioli sul finire del suo quinquennio milanista, può dimostrare due cose: 1) che il tecnico è perfettamente connesso con il suo incarico, che vuole chiudere bene l'avventura rossonera e il pari juventino di ieri lo agevola consegnandogli la certezza del 2° posto; 2) che per un team così giovane, perdendo in sequenza i leader dello spogliatoio (è uscito Ibra, i prossimi sono Kjaer e Giroud), occorre un precettore oltre che un allenatore per tenere il gruppo motivato. E queste due riflessioni conducono all'unico argomento d'attualità di casa Milan da cui non esce nemmeno un sospiro sulla scelta del prossimo allenatore. Tutti i profili, proposti dai media, sono in parte accreditati dai rispettivi agenti o rilanciati attraverso ricerche nella platea degli allenatori considerati a caccia di una panchina prestigiosa. L'unico indizio considerato valido è quello anagrafico: trattasi di uno straniero.
E qui c'è l'altro aspetto stuzzicante della vicenda. Perché straniero e non italiano? La risposta potrebbe essere la seguente: perché la stragrande maggioranza del team (tranne Sportiello, Calabria, Florenzi, Pobega) è di estrazione culturale e calcistica straniera. E spesso i difetti di comunicazione hanno costituito un problema a Milanello. Ma la domanda delle cento pistole resta sempre la stessa: perché non Antonio Conte che ha dimostrato e fatto sapere di essere disponibile all'incarico? Qui la risposta è più articolata perché tiene conto di luoghi comuni attribuiti al tecnico pugliese. Tra questi il più ripetuto come un rosario è il seguente: è abituato a presentare una lista onerosa della spesa per il calcio-mercato. La replica più pertinente, indagando sui suoi ultimi incarichi, ricorda che l'acquisto più impegnativo ottenuto all'Inter - Lukaku - è stato acquisito per 85 milioni e rivenduto a 115 milioni! Alla fine viene fuori che l'ostilità dichiarata a Conte è una questione quasi ideologica: perché appartiene a quella categoria, tipo Maldini, che ama attribuire al proprio lavoro i successi e ad altrui la responsabilità delle sconfitte.
E tutto ciò nonostante la consapevolezza che dopo aver meritoriamente bruciato Lopetegui, qualsiasi altra scelta non provocherebbe presso la tifoseria e la critica il recupero del clima di entusiasmo e fiducia di cui ha un disperato bisogno il prossimo Milan.
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