È molto improbabile che un giorno si parli del Delafuentismo, come non si è mai parlato del Delbosquismo o dell'Aragonismo, in riferimento ai ct della grande Spagna dei primi anni Duemila. Perché Luis De la Fuente, il ct che ha rimesso in carreggiata la Spagna del dopo tiki-taka, non ha l'aria, la postura e nemmeno l'eloquio del santone del calcio. Anzi, sembrerebbe quanto di più lontano ci possa essere dagli ismi del pallone, cosa da renderlo antipatico magari ai seguaci del Guardiolismo o ai nostalgici del Sacchismo. Luis De la Fuente è un basco figlio della sua terra, uno che non ama la vetrina, non crede di aver inventato nulla di particolare, ma sa di aver rilanciato la genialità iberica, verticalizzando il palleggio delle Furie rosse sulle ali di Lamine Yamal e Nico Williams. E ha sempre detto che il suo segreto è quello di far divertire i suoi e di lasciare a loro il palcoscenico, come ha fatto l'altra sera nel momento della grande festa, quando, appena Morata ha sollevato la coppa, si è fatto proprio fisicamente da parte, scivolando fuori dal gruppone scatenato.
Dicono che De la Fuente piaccia poco agli spagnoli, forse proprio perché è basco e la gente di quelle terre viene sempre guardata con un po' di diffidenza o di distacco, così come a lui non piacciono gli eccessi dei tifosi e della stampa. Pensa che «sarebbe bello se i mezzi d'informazione riportassero solo i risultati delle partite», cosa che condannerebbe alla disoccupazione quasi tutta la nostra categoria, però con i giornalisti ha un buon rapporto personale.
Eppure proprio questo ex terzino dell'Athletic, con cui negli anni Ottanta ha vinto gli ultimi due campionati dell'autarchico club di Bilbao, è riuscito nel miracolo di vincere un Europeo mettendo insieme giocatori di tante squadre, senza poter contare come i suoi predecessori, su un blocco del Barça o del Real, anzi puntando su una Spagna proprio a trazione basca, esaltata dai due bomber della finale, Nico Williams dell'Athletic e Oyarzabal della Real Sociedad, ma sostenuta dai vari Unai Simon, Vivian, Merino, Zubimendi, dal naturalizzato Le Normand, gran parte dei quali cresciuti con lui fin dalle nazionali giovanili.
Insomma, paradosso della storia, è la Spagna vincente più basca di sempre, visto che al massimo nei passati trionfi euromondiali erano presenti un paio di giocatori dell'Athletic (da Iribar ed Echeberria a Llorente e Javi Martinez). Una Spagna rilanciata proprio dai più fieri separatisti.
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