In quell'abbraccio la notte di Wembley c'era tutto. Il presente: la gioia per la vittoria. Il passato: l'orgoglio per la rivincita su quello stesso prato di 30 anni prima. Il futuro: con la fottuta paura di quello che sarebbe potuto essere o non essere. «Un abbraccio completo», hanno detto Luca e Roberto. C'era soprattutto un'amicizia fraterna, un legame fortissimo. Di quelli che durano da sempre e per sempre. Un legame nato all'ombra della Lanterna, in quella Genova per loro dove a distanza di decenni sembra di vederli ancora lì. ViallieMancini tutto attaccato. Inseparabili. Quello coi riccioloni che ride sempre e quello col ciuffo così timido da sembrare scontroso. Diversi e complementari. In campo i gemelli del gol. Fuori, due ventenni spensierati che si sono trovati da subito.
Amici, fratelli. Bastava uno sguardo per capirsi, un gesto per dimostrarsi stima e affetto. Come nella stagione di grazia blucerchiata 1990-91. Giornata 8, Gianluca rientra dopo un infortunio che gli ha fatto perdere l'avvio di stagione. Corre, lotta, sbuffa. Ma non è al top. Roberto è in gran forma, segna un gol fantastico, dei suoi, e quel giorno fa quel che vuole, è immarcabile. A un certo punto prende palla, scarta un difensore, due, arriva davanti al portiere, scarta anche lui. Ma invece di metterla in porta alza lo sguardo, vede Gianluca a pochi passi da lui. È un attimo. Gliela passa e gli regala il gol facendolo sbloccare. Non un assist, una coccola che solo l'uno poteva fare all'altro. E la domenica successiva c'è il Napoli di Maradona campione d'Italia, al San Paolo. Due gol Vialli, due gol Mancini e ciao. Bellissimi, da copertina. Capolavori per spianare la strada verso lo scudetto che forse senza quel gesto della settimana precedente, non sarebbero potuti esistere.
Perché tra fratelli non c'è egoismo. Il noi viene prima dell'io e del tu. Un legame cresciuto nel levante genovese. Tra Quinto, dove abitavano, e Bogliasco dove si allenavano con la Sampdoria i cui colori si sono tatuati sulla pelle. Le scorribande sulle moto d'acqua fino a Portofino erano un'abitudine, come le serate. Epiche, memorabili. A inizio settimana in discoteca, due o tre i locali del cuore dove insieme ai compagni erano presenza fissa tra balli e karaoke più meno improvvisati dove la gara era a chi stonava di più. Poi con la partita della domenica che si avvicinava, solo cene. Loro due, Cucciolo Mancini e Pisolo Vialli, a guidare il gruppo dei sette nani, clan ristretto di uno spogliatoio che era quasi famiglia. Dal giovedì andavano a letto presto, magari facevano tardi a chiacchierare a casa di qualcuno ma nulla più. Perché ci tenevano e perché era giusto così. E perché zio Vujadin controllava e telefonava a casa e li faceva seguire qua e là, anche se alla fine un po' faceva finta di non vedere. E poi le ragazze. Nel parcheggio del campo di Bogliasco c'era la fila. Sotto i tergicristalli delle loro auto cumuli di biglietti con numeri di telefono e proposte indecenti per la sera. «Lui era quello bello, io quello simpatico.
Mandava sempre avanti me», raccontava Gianluca. Da ragazzini a uomini. Scapigliati e irriverenti prima, seri e composti poi. «Lo sento con me», ha detto Roberto. Sempre insieme, sempre uniti. ViallieMancini. Inseparabili.
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