Dall’espiazione al trionfo. Questa Ferrari può sognare

L'umiltà dopo i proclami: Rossa e Seb primi a Melbourne. Nel 2007 l'ultima volta. E in quell'anno poi vinse il titolo

Dall’espiazione al trionfo. Questa Ferrari può sognare

Non è solo una vittoria quella andata in scena a Melbourne, non è solo un trionfo della Ferrari, una festa nazionalpopolare con tutti i politici in fila, non è solo un’impresa o un obiettivo raggiunto. Non è neppure un dono della cabala ) perché sono 10 anni esatti che la Rossa non vinceva a Melbourne e neppure un successo ben augurante visto che proprio in questa stagione cade il decennale dell’ultimo titolo conquistato dal Cavallino. No, quella di Seb Vettel non è una semplice vittoria. È una rivincita. Di tutti i ferraristi contro tutto e soprattutto contro tutti. Noi che applaudiamo e critichiamo, i tifosi che amano e odiano, il mondo stupido che, diamine, non capisce mai cosa voglia dire lavorare a Maranello.

Lo si evince dalle parole a caldo via radio di Seb, «forza Ferrari! ragazzi, questa è per noi, tutti noi, qui in pista e a Maranello», lui soldato coraggioso nel fortino. Lo si comprende dal ruggito pacato del team principal Arrivabene, «sono contento per tutti i ragazzi della scuderia, hanno lavorato con grande umiltà, modestia, professionalità, a casa e qua», lui sergente di guardia che conosce le truppe. E lo si intuisce dal commento a freddo del presidente Marchionne, «un successo da condividere con tutta la squadra, sia in pista sia a Maranello, perché solo il lavoro di gruppo permette di raggiungere traguardi importanti», lui simile invece a un colonnello che studia le carte e pianifica come uscire dal fortino per invadere terre altrui. Terre Mercedes, s’intende. Per loro parla finalmente una vittoria netta e non frutto di una qualche botta di culo come negli ultimi anni. Qualcuno potrebbe dire: però Hamilton? E la Mercedes? E quel pit stop anticipato? E il traffico trovato dall’inglese al rientro in pista? E il sorpasso subito da Vettel? Balle! All’Albert Park è stata la Ferrari con la propria ritrovata forza a spingere la Mercedes a fermarsi prima e all’errore: agitandola con il cronometro; e dimostrando che lei, la Gina, come Vettel ha soprannominato la SF70-H, le gomme ultrasoft le accarezza facendole durare.

Rivincita ferrarista perché dalla polvere è tornata sull’altare, perché se arrivi a Maranello e prendi in mano il team e fai e dici cose da splendido e arrogante e poi finisci che le prendi sui denti e ti guardi dentro e ti chiudi a lavorare e cambi e rischi e torni a vincere, allora, diavolo se ti meriti quel che ottieni. Chiamiamola espiazione ferrarista. Basta che il bagno di umiltà rampante permanga, non evapori, sparisca, puff. Perché Marchionne e Arrivabene si erano presentati storcendo il naso davanti alla Ferrari F1 appena ereditata. Eppure, con la Rossa ricevuta dai predecessori, avevano vinto tre volte nel 2015; con la loro prima Ferrari, lo scorso anno, molti proclami, zero successi e tante delusioni. Così, la scorsa estate, ecco la rivoluzione tecnica autarchica che, benché poggiasse su un ingegnere stimatissimo come Mattia Binotto, sembrava un salto nel vuoto.

Rivoluzione a cui è seguito, a Natale, l’inaspettato e coraggioso mea culpa presidenziale sulle troppe aspettative e i troppi tonfi del 2016. «Che figuraccia», era sbottato il patron, «al tifoso dico che ho sbagliato io... se mi sdraio per terra non mi può picchiare». Vittoria. Rivincita. La Ferrari si è rialzata. Anche Marchionne.

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