Da Riad è tornato il Milan degli indiavolati. Con una Supercoppa tra le mani (numero 8 della serie) da esibire al popolo deluso dei suoi tifosi e un nuovo orizzonte da disegnare. «La squadra sta accettando il nuovo allenatore. Se il Milan ha questa voglia è difficile batterci» la chiave di lettura fornita, appena celebrato il successo per 3 a 2 sull'Inter in remontada, da Zlatan Ibrahimovic. E la conferma è arrivata puntuale dalle immagini successive con Sergio Conceiçao, sigaro acceso in bocca, che ballava una danza curiosa dopo aver pianto, medicato una ferita al tallone (Emerson gli è salito sulla caviglia a fine serata), e dedicato alla sua famiglia i due successi preziosi raccolti in poche ore. È riuscito nell'impresa epica di cambiare la vita al Milan allenandolo in aereo, durante il viaggio di andata da Milano a Riad. «Ci ha trasmesso una energia travolgente» è la sintesi perfetta firmata da Leao, l'uragano che si è scatenato sulla difesa interista a inizio di ripresa, dopo il ritorno alla Malpensa. Per infiocchettare l'evento ha ripetuto, forse senza saperlo, la frase simbolo di Silvio Berlusconi. Ha dettato Rafa: «Chi ci crede di più vince». Fu il mantra del Milan di Capello ad Atene nella finale '94 col Barcellona. Infine, Theo Hernandez, riacceso come un turbo, può finalmente ammettere i suoi peccati: «Ho avuto dei problemi, mi sto mettendo a posto». Gli è bastato quel gol su punizione raddoppiato più tardi dal cross per il 2 a 2 di Pulisic per tornare a riveder le stelle.
E allora, al netto delle suggestioni, è il caso di approfondire il cambiamento del Milan tra il primo e il secondo tempo. Che non è stato solo tattico perché con Abraham in campo alla fine Conceiçao ha allestito un 4-2-4 molto offensivo a tal punto da far gridare a Simone Inzaghi ai suoi («hanno 4 punte»). È avvenuto nella testa prim'ancora che nella tecnica e nell'applicazione. La verità è che il nuovo condottiero è stato accolto come una sorta di federatore del Milan che si era diviso in qualche fazione, da una parte i nuovi del mercato tutti un po' laici, dall'altra i reduci di Pioli con in testa Leao e Theo in rotta evidente con Fonseca. È cambiato lo spirito, è stata ritrovata l'unità di intenti. Volete un dettaglio in apparenza ininfluente? Lo ha fornito ancora Leao: «La presenza al seguito di Florenzi anche se infortunato». Cercate un altro gesto simbolico? La decisione di Maignan, fresco capitano, di chiamare al suo fianco Calabria, capitano in carica entrato negli ultimi minuti, per ritirare il trofeo e alzarlo contemporaneamente. Proprio lui, Calabria, messo in un cantuccio da Fonseca. Ibra ha arringato lo spogliatoio chiamando i suoi raga, Cardinale ha spedito un messaggio segnalando «l'orgoglio dei giocatori per questo successo, godetevi questo momento ma tornate con una spinta per rivendicare il posto che spetta al Milan». Già perché ora, proprio come dopo Madrid e quel 3 a 1, ricominciano un'altra storia e un'altra sfida.
Adesso come allora, dopo il derby di Supercoppa, c'è ancora il Cagliari (sabato 11) e a strettissimo giro (martedì 14) il Como per poi chiudere il terribile mese di gennaio con Juve (sabato 18) e Parma (domenica 26) più la Champions (Girona e Dinamo Zagabria). Qui capiremo se quella di Riad è stata l'ennesima allucinazione o invece una vera e salutare oasi.
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