Roma - Bisogna aver coraggio, anche nel perdere. Ed è per questo che Sara Errani ha scelto il modo migliore per farlo, in campo, nonostante un infortunio che l'ha fatta piangere fino alle lacrime. Perché Sara è una di noi, cioè come siamo un po' noi italiani, i grandi lavoratori, quelli magari con qualche mezzo in meno degli altri, ma con tanta creatività in più. E soprattutto coraggio.
Insomma, è finita come doveva finire, perché nel tennis in certi casi non si inventa nulla e soprattutto non si è ancora inventato un antidoto a Serena Williams, anche quando non è in versione Serenona. Piuttosto è il modo che fa un po' specie, perché scalare una montagna a mani nude a volte è possibile, ma bisogna essere però integri nel resto del corpo. Accade nel primo set, Serena è avanti 4-3 e servizio ma comunque è un po' inquieta, perché il gioco intelligente della Errani mette un po' di sabbia nell'ingranaggio del suo carroarmato, nonostante quella differenza al servizio - 201 a 135 km l'ora il divario massimo - un po' imbarazzante. Insomma, non c'è partita ma in fondo c'è, fino a quando Sara fa un piccolo movimento e una smorfia. E poi lascia andare la palla seguente senza colpirla: «medical timeout», sul Foro cala il silenzio.
Sara tornerà in campo dopo 7' negli spogliatoi con una fasciatura alla coscia sinistra, ma la partita è finita lì: il tabellone poi segnerà 6-3, 6-0, e qui sta il coraggio di Sara, quella sfida tutta italica di non voler mollare mai, neanche quando ce ne sarebbe bisogno. Sara, infatti, avrebbe anche la finale di doppio con l'amica Vinci, perché rischiare? C'è Parigi alle porte, allora perché? La risposta è che bisogna aver coraggio di perdere guardando in faccia l'avversaria, anche quando la ritirata sarebbe molto più che onorevole. Così alla fine lo stadio è tutto in piedi ad applaudirla, tutto Serena Williams compresa, con la Errani che prima si scusa e poi si scioglie in lacrime. Poteva essere la prima italiana-italiana a vincere al Foro, ma chi se ne importa? A volte la sconfitta fa ancora più notizia. Una buona notizia.
«Lei è magica - dirà perfino Serena mentre si gode il terzo trionfo romano -: è stata sfortunata, stava giocando benissimo. Tanto che io stavo andando un po' fuori giri ed ero nervosa. È vero che quando hai poco da perdere finisci per dare tutto, però lei nell'ultimo anno è migliorata tantissimo, ha lavorato molto e si vede». Come un'italiana vera, insomma. Che poi, finita la premiazione, è subito andata sul lettino del fisioterapista per poter essere presente all'appuntamento con il doppio, perché non si lascia a piedi così un'amica: «Sara ci tiene - diceva fuori dalla porta il suo coach Lozano - forse è solo una piccola elongazione e dunque ce la può fare». Lei, che aveva appena finito di ringraziare il pubblico del centrale («Sono rimasta in campo per voi, siete stati pazzeschi») e si era asciugata l'ultima lacrima, era già ripartita, pronta per una nuova sfida. Risultato: a meno di quattro ore da quella smorfia terribile, Sara scende in campo con Roberta Vinci per la finale del doppio contro Peschke e Srebotnik. Malandata ma presente. Insiste, ci prova, soffre.
Perché, nel tennis come nella vita, le sconfitte arrivano. Ma il coraggio non lo si deve perdere mai. Anche il coraggio di saper dire basta al momento giusto. Minuto dieci, 0 a 4. Il pubblico capirà. Roberta ha già capito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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