Eterni e bastardi. Anche i francesi se ne sono accorti e così titolano. I difensori italiani sono figli di madre ignota, picchiamo quando c'è da picchiare, giocano quando c'è da giocare, sono belli e forti, poche storie: sono italiani. Dove sta la novità? Questa è la nostra storia, da sempre e per sempre, nonostante alcune rivisitazioni estetiche dei professori di football postmoderno. Ripenso all'immagine sacra sulla bustina delle figurine Panini, una acrobatica rovesciata. Ma chi era quell'artista? Un attaccante? No. Un centrocampista? Nemmeno. Era Carlo Parola, detto Nuciu Gauloise per via delle mille sigarette che avevano reso di ruggine la sua voce. Parola, centromediano metodista, l'uomo destinato a bloccare l'avversario e a far ripartire l'azione. E' un dato caratteristico sulla nostra carta di identità calcistica, la zona non ha cambiato le buone abitudini, la velocità e la violenza del football non hanno violentato la tendenza congenita del difensore italiano, attenzione massima, tenacia e perfidia. Secondo quel furbetto di Rio Ferdinand, ex gigante del Manchester United e della nazionale dei tre leoni, i nostri farebbero falli che a loro, gentleman britannici, non sono permessi, forse dimenticando tipi come John Terry e lui medesimo, oltre a un irresistibile Nobby Stiles da evitare anche al ristorante, così come il suo sodale di mazzate, Jackie Charlton.
L'Italia di Conte è l'elogio della difesa ma non del catenaccio, è sufficiente segnalare che il migliore dei belgi, lunedì sera, è risultato il portiere Courtois.
I bastardi di difesa portano i cognomi di Barzagli, Bonucci e Chiellini, aggiungerei il loro badante, Gigi Buffon, la gang è completa. Nulla di nuovo nell'area di rigore, basta sfogliare l'album di famiglia, da Virgilio Maroso, del grande Torino, alla coppia interista euromondiale, Burgnich-Facchetti con Armando Picchi stiloso padrone del gioco; forse sfigurerebbero oggi? Non credo. Così come Gentile e Cabrini con Collovati e Bergomi, altre montagne, non di muscoli ma di fosforo e astuzia, campioni del mondo di un gruppo che teneva in panchina Vierchowod e Baresi, giganti nell'uno contro uno, soprattutto per azzerare l'uno che gli si parasse di fronte.
Di quella tribù hanno fatto parte Nesta e i Maldini, padre e figlio, Materazzi e Cannavaro, dunque i salopards di Lione sono gli eredi, proseguono la dinastia, confermano che il lupo italiano può perdere il pelo ma mai il vizio di sapere organizzarsi: primo non prenderle, poi, semmai, colpire. Non è football modesto o mediocre, piuttosto è conoscenza dei propri mezzi e dei propri limiti. Non arroccandosi, non concedendo anima e corpo all'avversario come accadeva nei favolosi anni Sessanta ma demolendo per costruire subito. Senza essere blasfemi è il football dell' abbasso il parroco, fine del pallone a campanile, non ci sono più i sacerdoti di una volta.
L'Italia di Lione ha spiegato come si debba fare, il blocco juventino ha confermato quello che in cinque anni lo ha portato a essere un bunker nel quale è complicato entrare e assai difficile uscirne vivi.
Piano con le beatificazioni, può darsi che alla prossima, tipo Ibrahimovic con la Svezia, i bastardi si trasformino in chierichetti ma potrei prevedere, in questo caso, che Conte non sanguinerà soltanto dal naso. Un vecchio calciatore inglese, John Gregory, centrocampista di ruolo del modesto Scunthorpe, sentenziò un giorno: gli attaccanti vincono le partite, le difese i campionati. Thank you, mister John.
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