Essere o non essere, bianco o nero, giusto o sbagliato, Ferrari o non Ferrari. Quanto accaduto è la dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che la Formula uno in cerca di se stessa si è di nuovo persa. Ieri nel ginepraio di Zeltweg. Tre settimane fa in quello di Montreal. Colpa di un imprevisto: lo sport.
Leclerc in testa per 69 giri ha perso, vedendo per la seconda volta sfumare a pochi chilometri dal traguardo la prima vittoria e il record di più giovane ferrarista a riuscirci. Verstappen in testa negli ultimi due ha vinto. Ha perso il monegasco che ha resistito all'esterno con tanto di toccata per difendersi dall'ultimo tentativo di sorpasso dell'olandesino al volante. Ha vinto il talento della Red Bull-Honda allargando nel tornantino e costringendo il monegasco ad alzare il piede. Se uguale manovra fosse andata in scena venti giorni fa, in Canada, i togati a trecento all'ora avrebbero dato vittoria a Charles e forse sarebbe stato ingiusto per lo sport tanto quanto il successo tolto a Vettel proprio in quel di Montreal. Non a caso, alle venti di ieri, dopo ore di attesa, il team principal Mattia Binotto dirà: «È una sentenza sbagliata... dimostra che avevamo ragione noi in Canada». Tutto vero, tutto sacrosanto, ed è crudele che la beffa, l'ennesima per il Cavallino, si concretizzi la prima volta che i piloti vengono liberati in nome dello show tanto invocato.
Da Montreal è stato infatti avviato, anche proprio per l'opera di sensibilizzazione innescata da Maranello dopo il verdetto ai danni di Vettel (ieri 4°), una sofferta e lenta opera di revisione delle valutazioni di gara dei giudici per spingerli a non penalizzare i piloti durante i duelli. E così è stato. Ci piaccia o no. E bene ha fatto Binotto a sottolineare, con tutta la delusione e rabbia di un momento simile, «voltiamo pagina, ci si aspetta una F1 più spettacolare, oggi lo è stata, in un giorno così dobbiamo anche noi dare l'esempio».
È dunque proprio lo sport l'imprevisto che sta mandando in tilt la F1. È infatti incredibile come il Circus, assopito da anni e troppe stagioni di corse e vittorie in gran parte decise da strategie, si ritrovi impreparato a cavalcare l'onda libera e giovane che lo sta investendo. Fenomeni perfetti e imperfetti come Hamilton e Vettel si sono subito attrezzati e adeguati alla nouvelle vague del competere portata dai Vertappen, dai Leclerc, dai Norris (occhio, sta arrivando anche questo ragazzino della McLaren, ieri sesto). In crisi davanti all'onda giovane è invece chi gestisce e tira i fili della Formula uno, soprattutto la Federazione dell'auto con i suoi giudici. Ecco perché ieri con Verstappen e Leclerc, e tre settimane fa in Canada con Vettel ed Hamilton, il Circus si è dimostrato impreparato. È lo sport, bellezza, si potrebbe dire parafrasando un grande film. È come se gli attori che comandano si stessero rivelando letteralmente inadeguati nel gestire l'arrivo dei ragazzini terribili che se ne fregano, attenzione, non delle regole basiche e fondamentali, ma di quel corollario di cavilli normativi che nel corso delle stagioni ha imbrigliato l'agonismo in F1. Era da oltre vent'anni che i brividi in gara venivano dati da pit stop, rifornimento (allora) e mescole (oggi); logico che in un simile sistema i duelli in pista e le conseguenti controversie fossero ridotti ai minimi termini. Vincitori e sconfitti erano frutto di un modo distorto di correre.
Ora no.
Ora i piloti, in primis i vecchi fenomeni e i giovani arrembanti, hanno capito che il Circus made in America cerca gare incerte e spettacolo in pista e che, se fosse per loro, i nuovi padroni del giocattolo chiuderebbero un occhio su certe manovre ardite. La rivoluzione è partita. Anche se la beffa per la Rossa resta. Ma, forse, così fa meno male.
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