Se solo volessimo, potremmo raccontarcela e infiocchettarla e mettercela sotto l'albero come fosse un dono luccicante. Non lo è. Però ne abbiamo facoltà. Possiamo raccontarci che a Hangzhou Gregorio sia contento, che Federica sia solo felice, che l'Italnuoto torni dalla Cina soddisfatta perché alla fine le medaglie sono state sette, e cioè tante quante due anni fa in Canada benché senza oro (ci pensò Fede nei 200). Possiamo raccontarci che la vasca corta non sia la lunga, per cui, in fondo, meno nobile dell'altra; possiamo convincerci che ai nostri, proprio per questo, piaccia meno. Possiamo indorare e infiocchettare quanto lo desideriamo, ma la verità è un'altra: speravano di più loro, speravamo di più noi. Loro speravano di più a ragion veduta, perché si allenano e s'ammazzano di fatica e si conoscono, e noi perché un po' ignoranti sul tema, un po' tifosi, un po' traviati dall'orgia metallifera dell'estate scorsa agli Europei.
Non basta, dunque, la splendida gara ma non così splendida di Greg Paltrinieri per essere felici e dire e pensare al suo argento, il secondo di fila in corta nei 1500 stile iridati, come a un'iradiddio. Certamente, a parità di metallo, luccica infinitamente di più rispetto al secondo posto di due anni fa a Windsor, quando, dopo il meritato riposo post olimpico, aveva chiuso lontano dal discusso ed ex dopato sudcoreano Park Tae-hwan. Perché stavolta, al contrario, il rivale non si discute, ha vinto superandolo nell'ultima vasca, con il secondo crono mondiale, 14'09.14 (per Paltrinieri 14'09.87, 3° Christianesen). Il rivale, di due anni più giovane, è il campione venuto dall'est con cui si stuzzica e confronta ormai da due anni, il rivale è il ragazzone che ha scoperto molti dei suoi segreti allenandosi ad Ostia, tempo fa, nel fortino di Greg. Il rivale è Mykhailo Romanchuk, l'ucraino che già ai mondiali più nobili e in vestito lungo di Budapest, nel 2017, standogli addosso e cavalcandogli fin troppo l'onda, gli aveva reso la vita durissima, cedendo solo dai 1200 in poi. E Greg che, oltre ad essere campione vero è uomo vero, nel lancio della cuffietta dopo aver toccato ha racchiuso e concentrato tutta la rabbia provata verso se stesso. Rabbia a cui ha poi dato voce e toni gentili, accompagnandola con quel suo sorriso distensivo, dicendo «da una parte sono contento perché non avvicinavo il primato mondiale (14'08''06, ndr) da quando lo avevo centrato... per cui è un crono super che mi dà sicurezza. Però mi scoccia, perché avrei potuto vincere, anche con grande distacco se solo nella parte centrale avessi osato di più...».
E se solo volessimo, potremmo esaltare, applaudire, enfatizzare Fede Pellegrini. Se lo meriterebbe. Con i suoi trent'anni suonati è andata ad azzannare la medaglia numero 50 di questa incredibile carriera. Staffetta 4x100 mista, con Margerita Panziera, Martina Carraro, Elena Di Liddo e lei attrice protagonista nel mettere una pezza e a chiudere quarta con record italiano (3'51''38) e, con «un po' di c...» che «ci vuole ogni tanto» poi terza dietro Usa e Cina grazie alla squalifica dell'Australia per cambio anticipato. Eppure, è una medaglia che ancora nutre la passione che tutti proviamo per questa splendida atleta, e però alimenta anche quell'interrogativo che non c'è verso di cacciare via e che adesso avrà anche lei.
Anziché vederla affannarsi per afferrare un rocambolesco bronzo, non sarebbe stato infinitamente più bello vederla lasciare il nuoto da vincente assoluta, dopo aver battuto regina Ledecky, con quell'oro nei 200 a Budapest, due estati fa? Vasca lunga, abito lungo. Trionfo. Da vera Divina.
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