nostro inviato a Monza
E loro, intanto, si fanno i selfie. Loro la Mercedes. Loro gli uber alles. Scattano foto con generosità boss Toto Wolff e presidente onorario Niki Lauda e Dieter Zetsche, capo dell'intera Casa di Stoccarda, il marchionne teutonico «che siamo tanto amici» non smette mai di ripetere il Marchionne Marchionne. Tutti felici come delle pasque i germanici dopo aver rifilato con Rosberg primo ed Hamilton secondo due sberloni che fanno male tanto e troppo alla Ferrari, ai suoi tifosi, all'Italia intera.
E però gli altri, intanto, ridono e in fondo sono felici. Gli altri i ferraristi. Quelli della squadra corse e quelli della folla di rosso vestita. Vettel sul podio si dimena in dichiarazioni d'amore e non sembra sia arrivato inevitabilmente terzo. Kimi è l'unico che, per dignità o forse solo freddezza nordica, ha capito che c'è poco da festeggiare e va a cambiarsi con il suo quarto posto in tasca «e c'è tanto tanto lavoro ancora da fare» dirà. Il tedesco sembra invece aver vinto. Nessuno osa spiegargli che no, non è vero niente. «I nostri tifosi i migliori del mondo e sono orgoglioso del secondo podio di fila e continuate a credere in noi» urla.
Ma come? E i due sberloni appena presi? Macché, solo un'impressione, non li ha sentiti. D'altra parte come potrebbe se il suo presidente lascia il circuito dicendo «oggi eravamo pronti a vincere... adesso ci troviamo in una posizione decisamente migliore rispetto ad inizio stagione, mi sento meglio...». Più o meno fotocopia il team principal Arrivabene: «Abbiamo rimesso dietro le Red Bull e ora dobbiamo dare un segnale alla Mercedes vincendo delle gare da qui a fine stagione». Potenza di un terzo posto.
Sembra di essere nel mezzo di un varietà Rai degli anni Settanta. Quando i comici si rifilavano con generosità manate di sberle l'un l'altro e chi le prendeva rideva e rideva e rideva ed era felice, felice, felice. La Ferrari e il suo pilota, ieri, sembravano così. A loro modo tutti incoscienti o tutti masochisti. O, forse, tutti semplicemente disperati. Perché era chiaro da giorni che solo un errore germanico in partenza o un sorpasso azzardato maranelliano ai loro danni al via avrebbe potuto cambiare la sorti della gara. E l'errore c'è stato ma solo in parte. Quando Hamilton ha pensato di scattare male e da primo che era si è trovato sesto. Vettel ha fatto il suo passandolo. E così Kimi. Momento di esaltazione collettiva. Ebbrezza che per qualche tempo non ha fatto pensare che gli uber alles calzavano gomme soft e non super soft e che tutto sarebbe cambiato al pit. Così è stato. E sono state sberle su sberle. Come la rimonta facile di Lewis. Come le gomme medie, dure come il marmo, montate nell'ultima parte di gara che hanno trasformato le sberle in un pugno in faccia al Cavallino perché «vedete che cosa sappiamo fare noi in casa vostra, sappiamo vincere con gli zoccoli...» il senso del messaggio.
Però, proprio come nei varietà, le sberle più dolorose ce le siamo date da soli. Dopo il traguardo. Con la marea rossa sotto il podio che anziché fischiare la Rossa una volta che poteva e doveva si è messa a festeggiare il suo eroe come avesse vinto mentre diceva quelle cose là tipo «siete il pubblico più bello del mondo eccetera eccetera...». Oddio. A ben vedere qualche fischio è anche partito, ma all'insegna della peggiore tradizione nostra: cioè rivolto verso gli altri, i vincitori, soprattutto il vincitore, Nico Rosberg che ha riaperto il proprio campionato e ora è a 2 punti da Lewis.
E Nico, che per davvero è il più italiano dei piloti presenti in F1 visto che «i miei migliori amici sono tutti di Milano e sono cresciuto con la vostra cultura» ha parlato dritto al cuore del pubblico. E l'ha conquistato. In fondo, una sberla anche questa.
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