Froome torna re sullo Zoncolan. È dittatura inglese in bicicletta

A Chris resiste solo il connazionale e maglia rosa Yates. "Volevo questa salita storica. Il Giro? È dura ma lotterò"

Froome torna re sullo Zoncolan. È dittatura inglese in bicicletta

Monte Zoncolan - Gli inglesi fanno festa anche su in cima all'inferno del Giro. Sul kaiser della Carnia sventola la Union Jack. Non solo il matrimonio dell'anno tra Harry e Meghan, ma anche l'appassionante sfida tra Chris Froome e Simon Yates. Tra il vecchio e il bambino. Tra il trionfatore di quattro Tour e una Vuelta e questo gemellino di 25 anni che scalpita e chiede spazio.

Ieri sullo Zoncolan, il giudice più severo di questo Giro bello e appassionante, ci sono stati alcuni importanti verdetti. Non definitivi. Già oggi, ad esempio, con la Tolmezzo-Sappada, infarcita di montagne (ben cinque, ndr), ci può essere l'appello.

In ogni caso il primo verdetto è chiaro quanto inequivocabile: Chris Froome è vivo e lotta assieme a noi. Altro che considerarlo ormai fuori dai giochi: il capitano della Sky ha ancora una voglia matta di vincere e lottare. Se non per la maglia rosa, almeno per il podio.

Altro verdetto piuttosto importante riguarda la maglia rosa Simon Yates: c'è e sarà dura spodestarlo da dove si è posizionato. Ieri è arrivato secondo, appena dietro a Froome. Perde solo qualche secondo (sei), ma non la speranza di arrivare a Roma da leader.

Lo Zoncolan, giudice supremo, dice anche che Tom Dumoulin può ancora dire la sua. Resta lì, aggrappato al secondo posto della generale (a 1'24): scivola un pochino, ma non cade. Come si dice in questi casi: regge l'onda d'urto. È resiliente e tenace come pochi l'olandese.

Per quanto ci riguarda, dice anche che le nostre ambizioni sono ormai tutte riposte in pollicino Domenico Pozzovivo, il piccolo scalatore lucano, che non perde la strada, e soprattutto perde poco terreno dai primi. Ora è terzo nella generale (è a 1'37 da Yates, ndr), e tiene alto il nostro piccolo ciclismo tricolore.

Lo Zoncolan è spietato, e non mente. Giudice dicevamo. E per Fabio Aru è inappellabile. Si stacca e esce dai radar della corsa quando mancano al traguardo ancora 6 km. Una resa temuta, ma prevedibile, per via dei troppi indizi raccolti in queste due settimane di corsa, che hanno mostrato sempre un corridore in affanno, mai a proprio agio. Anche ieri lontano dalla corsa (arriva a 2'): è amarissimo doverlo dire e ammettere, ma questo non è Aru, ma un surrogato, una brutta copia. Non si può neanche giudicare, perché non lo riconosciamo. E lui stesso fatica a riconoscersi. «Ancora una volta sono deluso: non avevo forza, non riuscivo a stare con i migliori dice sconsolato e sfinito il tricolore -. C'è qualcosa che non va, questo non sono io», che sa tanto di testamento sportivo per un Giro che se ne va. Che si chiude per il sardo, senza essere mai davvero incominciato.

Froome vive la giornata perfetta: del riscatto. Vuole lasciare un segno, e ci riesce. Prima si fa pilotare da un superlativo Wout Poels, poi parte con la sua proverbiale e riconosciuta frullata: autentico marchio di fabbrica. Al traguardo mancano poco più di 4 chilometri, quando apre il gas: testa bassa, braccia larghe e capo chino. Via a tutta. Non lo riprenderanno più. «Volevo questa salita che ha fatto la storia - dice felice come poche altre volte -. Vincere il Giro per me sarà dura, ma lotterò giorno dopo giorno: non è ancora finita», assicura il britannico, che ieri ha colto la prima vittoria stagionale, la prima al Giro, che gli consente di entrare nel ristretto club di chi almeno una volta in carriera ha vinto una tappa in tutte e tre i Grandi Giri.

L'avvertimento è tutto per Simon Yates, che ieri non si è risparmiato. Ha lottato come un leone, contro un Froome in formato Tour.

«Sono felice e dispiaciuto, avrei voluto riprendere Chris dice la maglia rosa stravolta per lo sforzo -. Ora ci aspetta un'altra giornata difficile (oggi, ndr), la fatica dello Zoncolan si farà sentire e ci saranno distacchi più pesanti». E non so dargli torto.

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