Il mondiale finito ha una data e un luogo: Francia, domenica 23 giugno. Il mondiale finito è un film venuto male, dove recitano un solo attore protagonista e qualche comparsa. Per la verità, è anche un film con un regista scarso. Chiamatelo Fia, chiamatela Liberty media, chiamateli team troppo attenti ai propri interessi per fare l'interesse comune di uno sport che vacilla. Se non altro, adesso, sanno di avere gli occhi degli appassionati addosso. Sabato, tutti loro si sono di nuovo riuniti sull'onda delle polemiche dopo il ricorso respinto della Rossa per la penalità a Vettel. Lo faranno ancora. Dicono di studiare le regole della F1 che sarà, dicono che bisogna introdurre modifiche per creare più show, dicono tante cose intanto i 5'' a Seb non sono stati tolti. Benché tutti i piloti fossero col tedesco e benché proprio lo spettacolo quella decisione avesse ammazzato. Immaginate che cosa avrebbe tentato di fare Lewis, negli ultimi giri di Montreal, se fosse stato realmente secondo e non virtualmente primo? Purtroppo, il rischio è che s'inventino un modo per cambiare senza cambiare. Anche ieri, un'occasione persa nell'unico momento di show: la sfida a tre nel finale tra Ricciardo, Norris e Raikkonen. L'australiano si è preso 10'' di penalità e 3 punti sulla patente, scalando da 7° a 11°, per essere rientrato in pista ostacolando Norris dopo un sorpasso mancato e aver passato Raikkonen oltre la linea. «Meglio provarci piuttosto che correre senza cuore» le sue parole.
Giudici a parte, il mondiale è finito perché persino Hamilton è in difficoltà. Non riesce a mandare a memoria il copione di un film troppo noioso. Non ne può più. Non di vincere, ci mancherebbe, ieri sesta stagionale, la 79ª in carriera, la quarta di fila, l'ottava consecutiva della Mercedes. Non ne può più dell'imbarazzo che prova nel dover sempre inventarsi mille piccoli problemi per avvalorare la suprema bugia che ci rifila ad ogni intervista post gara: «No, no, non è stata corsa semplice... mi dispiace si pensi il contrario».
Non è colpa sua. Come non è colpa della Mercedes troppo forte. È colpa degli altri che non riescono a competere, a recuperare, incapaci di scardinare la sudditanza del Circo - nel senso di coloro che regolamentano e gestiscono - dal colosso über alles. Succede in tutti gli sport con interessi in gioco, succede da tempo anche qui. Nei primi anni 2010 era stata la Red Bull tecnicamente borderline dei mondiali a raffica di Vettel ad essere sempre guardata benevolmente da chi tirava i fili. Prima era toccato alla Ferrari. È così negli ultimi vent'anni, da quando le Case sono direttamente coinvolte e gli interessi enormi. La vecchia F1 era diversa, la vecchia F1 poggiava i propri cicli di dominio sulle invenzioni tecniche: alettoni, minigonne, turbo, telai in carbonio, sospensioni attive. La Mercedes oggi domina invece perché l'introduzione annunciata e decisa con largo anticipo dei motori ibridi in F1 fu per lei un grande invito a investire e restare visto il know how in materia del costruttore tedesco. La Red Bull dominò perché c'era troppa arrendevolezza nei confronti delle sue interpretazioni tecniche. La Ferrari dell'era Schumi dominò perché faceva la differenza avere tanti soldi e due circuiti di proprietà in un'epoca in cui si poteva girare e provare e macinare migliaia di chilometri.
Fatto sta, ieri, il mondiale è finito. Non perché la Ferrari sia rimasta lontana, e dice tutto Vettel 5°, col punticino del giro veloce su gomme nuove e soft tolto per un respiro a Lewis su gomme hard e vecchie, ma perché Hamilton ha ucciso Bottas, il compagno. Salvo calamità sportive, il finlandese è fuori dai giochi.
Con la grinta mostrata a inizio stagione e le due vittorie ci aveva illuso. Con il secondo posto di ieri, per di più con il fiato addosso, negli ultimi giri, di un commovente Leclerc, ha issato bandiera bianca. Mentre Lewis, 18 secondi più avanti, pensava solo a quale bugia raccontarci.
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