
Il perfetto suicidio del Milan in Champions non è si è realizzato martedì sera a San Siro. Sarebbe superficiale considerare solo l'ultimo atto, coinciso con il doppio giallo meritato da Theo Hernandez che è diventato l'hombre della eliminazione. Anzi per i social e i tifosi rossoneri è lui il nuovo mostro di Milano al culmine di una stagione orribile vissuta tra gossip velenosi, cooling break, rigori sbagliati e proteste con ammonizioni evitabili fino alla scena madre di martedì sera. Non sono mancate stroncature velenose tipo quella Van Hooijdonk («poi all'improvviso arriva l'idiota»), seguita dal semidio Marco Van Basten («è un biscottaio di prima classe») e da Salvini («fuori squadra fino a giugno»). Dall'ex capitano sono poi arrivate le scuse «a club, tifosi e compagni di squadra». Ma i precedenti «avvisi» registrati a Zagabria (bastava piegare la modesta Dinamo per avere accesso diretto nel G8) e a Rotterdam sono diventati i segnali premonitori del disastro conclusivo. In Croazia un «liscio» di Gabbia con l'aggiunta del rosso di Musah, in Olanda la papera di Maignan dopo 3 minuti hanno scavato sotto i piedi d'argilla del Milan una buca profonda nella quale ieri sera è precipitata la squadra rimasta in dieci. Lo spettacolo deprimente finale è utile per comprendere gli errori commessi da un gruppo che ha dimostrato immaturità emotiva e nervosa, inaffidabilità complessiva dinanzi alle sfide-snodo (a cominciare da quella doppia in Europa league con la Roma del fine ciclo di Pioli) e incapacità di reagire dinanzi alle curve più insidiose. È mancata - ecco il peccato originale - una guida tecnica di grande carisma, capace d'imporre calcio e disciplina, lavoro intenso guadagnandosi la stima e il rispetto del gruppo.
L'arrivo di Fonseca ha provocato il primo «strappo» con Milanello. Le inevitabili esclusioni a inizio stagione di Leao e Theo, invece di produrre un cambio di passo degli interessati, hanno dato vita a rivolte tipo il cooling break di Roma e screzi vari con la società rimasta a guardare nella convinzione (sempre rivendicata da Ibra) che talune questioni interne dovessero essere risolte dentro lo spogliatoio. Sul punto è emerso l'altro deficit del team. Se il capitano (Theo) è il primo a chiamarsi fuori, tutto il resto non può fare scandalo. Se il rigorista designato viene escluso a Firenze dagli egoismi di Theo stesso e dal gesto di Tomori (per mandare Abraham sul dischetto), allora tutto il castello di carta è destinato a crollare. Quanto poi alla cifra tecnica del Milan (Ibra sostiene che vale il doppio del Milan scudetto) è evidente che gli interventi effettuati in corsa (cambio dell'allenatore passando da Fonseca a un profilo opposto, Sergio Conceiçao, con un massiccio rinforzo a gennaio) hanno certificato l'insufficienza del mercato estivo, compreso l'allenatore preferito a un profilo molto più autorevole e impegnativo come Antonio Conte per i noti motivi («non cerchiamo un manager» disse Zlatan).
Ieri mattina Ibra (a cui è stato recapitato il Tapiro di Striscia) è salito a Milanello per misurare gli effetti del suicidio perfetto e discutere con Conceiçao del futuro con sullo sfondo la probabile perdita della Champions. «È mancata maturità» la sua analisi ripetuta in pubblico. In privato è possibile che abbia usato altro linguaggio: toni molto duri con la squadra.
A questo punto si aprono inediti scenari sulla gestione del club a cominciare dal destino dello stesso tecnico, protetto fin qui per il cammino in campionato e la Supercoppa d'Italia ma con un disastro tecnico-economico per l'eliminazione e discusso per le scelte effettuate dopo l'espulsione di Theo.
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