Rosa Khutur - Era l'ultima cartuccia. La quarta di un'Italia che aveva già mancato il bersaglio con Werner Heel, Peter Fill, fuori dal gioco delle medaglie per pochi decimi di secondo, e Dominik Paris, uscito dal tunnel della crisi con una prestazione degna della sua fama, ma non sufficiente per il podio. Già, perché l'unica cosa che conta quando si indossa quel pettorale che al posto dello sponsor ha i cinque cerchi olimpici è quella, il podio: 1, 2 o 3, dal 4 in giù sei nessuno, almeno per oggi. Christof Innerhofer sotto quei cerchi magici ha il numero 20, appena prima di lui i grandi favoriti Svindal e Miller hanno deluso, l'americano è addirittura fuori dai cinque, mentre il norvegese, terzo provvisorio, sa bene di trovarsi sull'orlo di un burrone e aspetta solo la spinta verso il baratro.
Ma se il grande Dio della velocità Svindal non è riuscito a fare meglio di Matthias Mayer e di Kjetil Jansrud, come può l'umano Innerhofer sperare di battere chi era partito rispettivamente con il numero 11 e 8, quindi oltre dieci minuti prima, quando la neve nella parte bassa della pista non era stata ancora cotta e rallentata dal sole che spuntava fra le nuvole? E invece, eccolo Inner con lo sguardo deciso, quegli occhi azzurrissimi - come il cielo dei giorni scorsi, diventato ora grigio anzi bianco - che scrutano la pista sapendo esattamente dove mettere gli sci, con che angolazione delle lamine, con quale carico di pressione Eccolo che parte, che spinge, che trova quelle inclinazioni indispensabili per andare forte nei curvoni sul ripido della parte alta. È perfetto, è velocissimo, dopo 25 secondi è addirittura 58/100 davanti a Mayer, dopo 50 il vantaggio si è ridotto a 44/100, dopo quasi un minuto e mezzo di gara Inner è sempre davanti con 21/100 di margine. Ecco la parte finale, la più temuta da Inner che però continua a sciare benissimo, non sbaglia le linee, passa indenne anche i due salti, dai, dai, al traguardo si tiene il fiato, la cartuccia sta volando verso il centro del bersaglio, ce la farà a centrarlo? All'ultimo intermedio, e siamo a una quindicina di secondi dalla fine, la tuta azzurra sfreccia a 1/100 dal tempo dell'austriaco. Salto finale e ? Secondo! Per 6/100 è medaglia d'argento Contento o deluso? Nemmeno il tempo di chiederselo che Inner fa capire al mondo i suoi sentimenti. Esulta felice, commosso anche, più di lui lo fa solo Mayer, che non aveva mai vinto nulla di importante e si ritrova campione olimpico di discesa, cosa che per uno sciatore austriaco significa la vita che cambia dall'oggi al domani. Svindal scuote la testa, il burrone lo aspetta, «non è la prima e non sarà l'ultima volta» dice con la consueta signorilità. Miller invece se la prende con la visibilità «cambiata rispetto alle prove e io se non vedo bene non scio come so».
Non poteva iniziare meglio l'Olimpiade degli sciatori italiani che a Vancouver avevano dovuto soffrire fino all'ultimo giorno; stavolta la medaglia è arrivata al primo tentativo, un bel sospiro di sollievo, anche per i compagni di Christof che adesso scieranno più rilassati. Ma dov'è che Inner ha perso l'oro? Risponde il dt Claudio Ravetto: «L'ha perso sulla seggiovia che si è fermata e ha fatto ritardare la partenza di 15', fatali per la neve nel tratto finale, che scaldandosi è diventata sempre più lenta». Alberto Ghidoni, coach azzurro che stava appostato proprio in fondo, racconta che «si vedeva ad occhio la neve mollare dopo ogni passaggio».
Lo stesso Mayer, ventitreenne figlio d'arte visto che papà Helmut vinse l'argento olimpico in superG a Calgary nel 1988, ammette la fortuna di essere partito prima dei favoriti, ma la sua vittoria non è casuale: dei giovani discesisti è uno dei migliori e la sua carriera è solo agli inizi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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