L'hanno coniata per lei: è la medaglia del quinto posto. E' della stessa materia di cui sono fatti i sogni, ma anche i limiti, gli errori e la capacità di superarli. In una parola: Carolina Kostner è sul podio della vita perché, oltre che brava e tenace, è soprattutto umana. L'oro va ad Alina Zagitova, 15 anni e 239.57 punti per laurearsi, nel giorno del doping russo, più giovane campionessa della storia. Piange, disperata, per l'argento la sua compagna e rivale 18enne, Eugenia Medvedeva (238.26). Sorride del bronzo, a ben 23 anni, la candese Kaetlyn Osmond (231.01): sembra una reduce. Come Katarina Witt, come la Kostner, generazione di altra bellezza, spessore ed espressività.
Caro lo sa: in 6 medaglie mondiali e 11 europee, oltre al bronzo di Sochi 2014, ne ha battute tante, doppiandole in grazia ed età. Molte sono già scomparse come candele nella notte. Aiuta un rapido elenco: Adelina Sotnikova, oro a Sochi si pensiona tre anni fa a 19 anni dopo un misterioso problema alla caviglia. Yulia Liptniskaja, pure oro nel team event di Sochi, a 19 anni, è da poco uscita dalla riabilitazione per anoressia. Anna Pogorilaja, classe 1998, è ko per la schiena. E il problema non è solo all'ombra di Mosca: la giapponese Satoko Miyahara, ieri quarta, soffre di denutrizione a 20 anni. Il rink pretende molto e su quel ghiaccio ci si brucia facilmente.
«I Giochi sono la metafora della vita: occorre saper cadere e rialzarsi», dice la Kostner. La sua ultima notte olimpica è fatta di numeri e poesia. I primi dicono di un'impresa titanica, nonostante quel «Caro, se po' fa!» con cui l'aveva esortata Giovanni Malagò alla vigilia del programma libero. Kostner era sesta: il suo corto, fresco record europeo (78.30) con cui aveva costruito l'ennesimo bronzo poche settimane fa, era già sceso a 75.10 nel team event; poi la giuria, fiscalissima, l'aveva ulteriormente limato a 73.10, oltre 5 punti dal podio virtuale dove già sedevano le due russe e la canadese. Nel libero Caro ha tirato fuori la storia di una vita: il fauno di Debussy era il programma che la rilanciò dopo Vancouver 2010. Ricordate l'abisso di quel 16° posto e un altro big del Coni a dirle «Forse non sei una campionessa»? E, invece, pare di si, perché Caro ieri ha recuperato una posizione e centrato il secondo miglior punteggio per i components, l'espressione artistica che le giurie hanno cominciato a valutare come i ginnasti che danno il nome ai salti - proprio imparando dalla grazia di Carolina sul ghiaccio e proprio in questi 12 anni. Tanto è passato dal nono posto di Torino 2006 per quella giovane portabandiera un po' inconsapevole, ed oggi campionessa consapevole che la vita fuori dal ghiaccio taglia più della patinoire: «Dopo il bronzo di Sochi e il resto sintetizza lei - sono ripartita da sotto terra ed essere arrivata alla quarta Olimpiade e pure fra le migliori è già una vittoria.Ho vissuto con positività e spirito olimpico: la vita non va sempre dritta».
E il bello è che, Mondiali a parte, fra poche settimane a Milano, Caro non sente ancora il desiderio di smettere. Pechino 2022? «Il pattinaggio regala tanti modi per essere presenti ai grandi eventi e poi mai prendere decisioni così importanti a caldo».
Già una volta lo fece, quando, sciagurata, non rispose per difendere Alex Schwazer. Allora lo sport, con due pesantissimi anni di squalifica, sanzionò l'amore di una ragazza. Oggi s'inchina ad una donna. Grazie Carolina.
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