Inutile girarci attorno, non tira una bella aria intorno alla panchina di Inzaghi. «Squadra e allenatore devono fare di più», parola di Beppe Marotta ai microfoni di Sky. «Accanto a prestazioni importanti come le vittorie con Napoli, Milan e Porto, ci sono state battute d'arresto inattese come quella di Bologna. Nel 2023 abbiamo fatto solo 2 punti su 12 contro le squadre più piccole». Numeri che sommano rimpianti, la sensazione è che il tempo stia per scadere. «Va fatta un'analisi e la terapia deve essere individuata da allenatore e giocatori, in un confronto diretto, ad Appiano». Si comincia subito, già oggi. Aspettando il Lecce, un'altra piccola, e soprattutto il Porto. Guai a fallire ancora.
Il resto del Marotta pensiero è melina dialettica, come quando giochi il pallone a metà capo e gli avversari te lo lasciano fare. «Inzaghi è un allenatore giovane, bravo e preparato. La nostra fiducia in lui non è mai mancata. L'anno scorso abbiamo guidato il campionato per tre quarti e poi siamo scivolati su una buccia di banana. Quest'anno c'è il Napoli che domina». E poi le Coppe già vinte e quelle che l'Inter potrebbe vincere ancora.
La realtà è che Inzaghi si ritrova un'altra volta con le spalle al muro: ha un contratto anche per la prossima stagione, ma servono risultati importanti per poter guidare l'Inter per il terzo anno consecutivo. Da sola, la qualificazione alla Champions, nuovamente tutt'altro che scontata, potrebbe non bastare. La società è convinta di avere un organico competitivo e in effetti la sensazione è che il rendimento dell'Inter sia finora inferiore alle sue possibilità, e non solo per i 7 punti in meno rispetto alla scorsa (già non vincente) stagione.
Dal mazzo, ora Inzaghi ha in più la carta Lukaku e cercherà di giocarsela al meglio. È un rinforzo importante per la fase più delicata di stagione, anche se per Marotta il destino è già scritto: «Al termine della stagione tornerà al Chelsea e poi si aprirà uno scenario nuovo e vedremo cosa fare». Big Rom a Bologna non ha segnato, ma non è certo stato il più deludente. Ha avuto pochi spazi, perché Thiago Motta (uno che prima o poi allenerà una grande squadra, magari l'Inter e i tifosi non vedono l'ora) glieli ha tolti quasi tutti e Inzaghi non è mai riuscito a procurarglieli, col suo gioco sempre uguale, monocorde.
Due anni fa, Lukaku era la stella e Lautaro il suo gregario. Un po' per età ed esperienze, un po' per il gioco impostato da Antonio Conte. Ora i ruoli sembrano invertiti, perché nel frattempo il Toro Martinez ha assunto a pieno titolo il ruolo di leader della squadra. Non è un caso che nel post Bologna sia stato lui e non Brozovic (formalmente tornato capitano) a metterci la faccia.
Martinez si è imposto all'Inter con i gol prima che con le parole, ma quanto ha detto dopo la settima sconfitta in campionato (quante nei 2 anni di Conte; l'anno scorso furono 4 in tutto) vale come ulteriore certificazione del nuovo status. Con Martinez e Dzeko l'Inter è arrivata dov'è ora, sostanzialmente a pochi passi dalla fine di un ciclo. Lukaku può aiutare Inzaghi ad allungarlo un altro po'.
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