Era previsto, ha vinto il Manchester City ma non come si poteva immaginare. L'Inter ha tenuto come ha potuto, bruciando due palle gol nei minuti finali, quando ha cercato di aggrapparsi alla speranza, attaccando come non aveva fatto fino allora. Si scriverà di Inter a testa alta, chi perde non va sull'almanacco, ci finisce Guardiola e la sua squadra al treble. È stata molto attenta l'Inter nel primo tempo in fase difensiva, compatta di fronte al giro monotono del City. Due sole conclusioni a rete, di Bernardo Silva e di Haaland in tre quarti d'ora sono stati il segnale di una partita frenata da un eccesso di tatticismo che per Guardiola si è accentuato quando, dopo trentacinque minuti, si è fermato De Bruyne, di nuovo out come nella finale del 2011 contro il Chelsea.
La rinuncia al belga ha cambiato lo schema inglese, Foden ha garantito maggiore tecnica ma minore fisicità e potenza nelle conclusioni dalla distanza, Inzaghi ha tenuto i centrocampisti a ridosso della terza linea, cercando le soluzioni veloci sull'esterno sinistro con Dimarco molto spavaldo nella zona rischiosa di Bernardo Silva, dalla parte opposta ancora incerto Dumfries che quando è chiamato a pensare entro in ansia perdendo il tempo di gioco in attacco e soffrendo su Grealish. La scelta di Dzeko è servita come boa per impegnare fisicamente Diaz ma l'uomo in più di Guardiola è stato ancor un volta Stones, uomo ovunque, essenziale, pratico nel recupero e nella distribuzione del pallone. Barella e Calhanoglu hanno lavorato in sacrificio mentre Brozovic è stato il più lucido nello scacchiere disegnato davanti a Onana. Non è stato un primo tempo eccitante, rarissime le situazioni di vero football, quasi il timore, da parte interista di subire un gol e la consapevolezza, presuntuosa e pigra però, del City di poter passare in vantaggio appena ne avesse avuto voglia. Haaland ha fatto girare le sue leve enormi e Acerbi ha mangiato aria e sudore, supportato, nel raddoppio, da Darmian o Bastoni.
Più nervoso il gioco del secondo tempo e il City non ha dato segni di risveglio dal suo torpore indisponente, si è fermato Dzeko e l'ingresso di Lukaku ha cambiato l'identikit dell'Inter e in contemporanea aumentata l'attenzione della terza linea inglese che ha preso paura sulla distrazione di Akanji sulla quale Lautaro egoista non ha visto Lukaku e Brozovic scatenando un breve contenzioso interno. Non più lineari le due squadre, episodiche azioni, ritmo sempre lento fino alla scossa elettrica di Rodri al minuto 67, il suo piatto destro è stato scolastico e perfido così come perfetta la costruzione di Bernardo Silva che ha trovato spaesati Bastoni e Dimarco che un minuto dopo ha bruciato il pareggio di testa nel caos difensivo del City. Fuori Bastoni, forse per fine batterie, fuori l'inutile Dumfries, Inzaghi ha chiesto a Gosens di coprire il fianco a Dimarco e a Bellanova di tentare qualche sortita.
Sfiniti in molti, per la tensione nervosa direi, non certamente per l'intensità agonistica, le ammonizioni di Barella e Lukaku sono state la conferma di questo esaurimento e il belga ha buttato via il gol del pari e dei supplementari, quasi a chiudere la sua nuova avventura milanese.Fine di un sogno, tre finali perse dalle italiane, un triplete senza memoria, zeru tituli direbbe il portoghese.
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