"Io e Maradona, il senso delle notti magiche"

ll cantautore napoletano: "Diego durante le prove a San Siro mi chiese di conoscere Gianna Nannini"

"Io e Maradona, il senso delle notti magiche"

Manco sembra vero ma oggi sono proprio trent'anni esatti dalle notti magiche, quelle che «inseguendo un goal» hanno segnato un'epoca (e un'epica). Insomma, trent'anni tondi tondi dell'inno dei Mondiali 1990. Si intitola Un'estate italiana, ma tutti lo ricordano per le notti magiche entrate nel nostro dizionario di immagini festose. Fu eseguito per la prima volta (in playback) proprio l'8 giugno del 1990 da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato a San Siro giusto in tempo per la partita inaugurale che l'Argentina perse con il Camerun grazie a una mazzata di Omam-Biyik, crudele come quella del coreano Pak Doo-ik agli azzurri dei mondiali nel 1966. Ma Un'estate italiana è un brano che va oltre il semplice (si fa per dire) risvolto musicale: rappresenta la fine degli anni Ottanta, l'inizio di un'altra era, di un'altra politica, di un altro calcio. «Quando Caterina Caselli e Gianna Nannini mi chiesero di scrivere il testo, io ero incerto ma hanno insistito molto», ricorda Bennato che poi spiegherà il perché dell'esitazione. La musica originale di Un'estate italiana, scritta da Giorgio Moroder, era accompagnata da un testo inglese e quindi bisognava riscriverlo per farlo diventare l'inno dei mondiali italiani e trasformarlo nel brano più venduto, trasmesso, ascoltato dell'anno. Per capirci, alzi la mano chi non l'ha canticchiata almeno una volta. E tutto esplose sostanzialmente proprio l'8 giugno, trent'anni oggi. «Nel pomeriggio, durante le prove allo stadio, dall'altra parte del campo vidi arrivare Diego Armando Maradona che mi disse subito: Dai, Edoardo, mi presenti Gianna Nannini?. C'è una nostra foto tutti e tre insieme», racconta Bennato che con quel brano ha sempre avuto un rapporto controverso. In ogni caso, nel giorno in cui iniziavano i mondiali, la canzone aveva già vinto il proprio personalissimo campionato, visto che era praticamente il tormentone dell'estate.

Però, caro Edoardo Bennato, come siete arrivati lì?

«Un giorno un mio amico d'infanzia, uno di quelli che chiamo amici del cortile e che era più o meno il mio manager, venne da me e mi disse: Senti, sai che Caselli e Nannini vorrebbero che tu facessi la sigla dei Mondiali?. E io risposi a bruciapelo: Franco, ma sei pazzo?».

Invece era così.

«Io pensavo che a me, a noi, non fosse concessa una cosa del genere, l'ufficialità, la sigla dei Mondiali di calcio. Però loro insistevano e mi ritrovai a San Siro in mondovisione».

Mica male. Per di più nello stesso giorno in cui giocava Maradona, eroe di Napoli.

«Diego si riteneva un prescelto da Dio e quindi pensava di essere sempre in debito con gli altri per la fortuna che aveva avuto. Era nato in un ghetto di Buenos Aires ed era diventato un idolo mondiale. Però Napoli, che è la città più bella del mondo, è anche piena di insidie. Maradona per certi versi aveva delle vulnerabilità e le patì proprio qui. Gli altri calciatori a Udine o a Torino possono uscire a farsi due passi sotto i portici. Maradona non poteva. È un buono per natura, molto istintivo, capisce subito se può fidarsi di te. Di Gianni Minà si fida, ad esempio. Di Blatter no...».

Anche lui fu uno dei protagonisti di quella Estate italiana.

«In realtà io avevo la sensazione di aver fatto qualcosa di troppo audace per me e per ciò che ero».

Si spieghi meglio.

«Circa un anno dopo, durante un'intervista, un giornalista mi disse: Senti Edo, te lo devo dire: tu per noi eri un punto di riferimento, ma quando ti abbiamo visto sgambettare sul palco dei Mondiali di calcio con la Nannini, ci è crollato un mito. Insomma, mi colpevolizzò come peraltro temevo».

Ma perché?

«Perché io arrivo dal mio cortile cosmopolita di Napoli nel viale Campi Flegrei a Bagnoli. Quando ho avuto la patente per questo mestiere dopo il famoso festival a Civitanova Marche, ho radunato i miei amici del cortile e non ho voluto manager, road manager e cose del genere».

Un ribelle per natura.

«Diciamo che ho sempre avuto problemi con il mondo classico della musica leggera e con la cosiddetta intellighenzia, ossia con quell'entità spocchiosa, supponente, a volte anche arrogante degli opinion leader che condizionano le mandrie, pardon le masse».

Non a caso Bennato fu licenziato dalla Ricordi dopo il primo disco del 1973.

«Il direttore disse che avevano messo il disco nei negozi ma la mia voce era sgradevole o qualcosa del genere».

Però poi si pentì.

«Nel luglio del 1980 ho fatto 15 stadi di seguito, non solo San Siro. Abbiamo suonato anche a Torino, Udine, Napoli eccetera. Perciò Un'estate italiana risultava un'anomalia nella mia storia. Però c'è anche il rovescio della medaglia».

Ossia?

«Nel 1991 o 1992, non ricordo con precisione, ero in cartellone al Pistoia Blues Festival e c'era anche B.B.King. Quando mi presentarono chiese: Chi è questo qui?. Qualcuno rispose: È quello che ha fatto la sigla dei Mondiali. Allora si rassicurò e suonammo insieme. Lo abbiamo fatto anche l'anno successivo in un Festival in Sardegna. Lui alla chitarra e io all'armonica. Alla fine mi disse: Man, you can play the blues, puoi suonare il blues».

Ecco il rovescio della medaglia.

«Per molti miei fan, la sigla dei Mondiali fu un capo d'accusa. Ma alla fine mi fece anche guadagnare la laurea in blues».

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