Quella tra Iran e Stati Uniti è una partita che inizia nel 1953. Ma che, ancora oggi, non è finita. Sono volati 69 anni dal golpe della Cia (Operazione Ajax) che in Iran tappò il «black project» del governo di Teheran per nazionalizzare il mercato del greggio. In quell'occasione scesero su un campo sabbioso di dune le «Sette sorelle» del petrolio a stelle e strisce che non volevano rinunciare al monopolio dell'oro nero. Questa sera alle 20, saranno invece di scena su un terreno verdeggiante d'erba gli «Undici fratelli» made in Usa opposti agli iraniani per un «dentro o fuori» dal Mondiale dell'ipocrisia dei diritti violati. «Impero del male» (copyright Ronald Reagan) vs il «Grande Satana» yankee. In Qatar si tratta di solo di football, ma quando partiranno gli inni nazionale (gli iraniani lo canteranno a denti stretti) sarà impossibile non pensare a una sfida tra due mondi che rimandano più ai libri di storia che agli almanacchi del calcio. Tra lampi color sangue che hanno funestato sia il crepuscolo del '900 sia l'alba del nuovo secolo. L'ayatollah Ali Khamenei era davanti alla tv nel '98 ai mondiali di Francia quando l'Iran sconfisse 2 a 1 gli Usa del soccer ricco di dollari ma povero di talenti. Lo stesso Khamenei, 83 anni, sarà spettatore oggi della sfida bis con tanta brace sotto la cenere. Gli apparati di sicurezza e l'intelligence americani sono in allerta dopo gli incidenti di Bruxelles dove l'altroieri la città è stata messa a ferro a fuoco dagli ultrà marocchini per «festeggiare» la vittoria sul Belgio. La Casa Bianca spera che «tutto si svolga pacificamente»; intanto, trema. Del resto, i segnali per un match ad alta tensione sono evidenti, soprattutto dopo che la federazione americana ha pubblicato sui social la bandiera iraniana orfana al centro del simbolo islamico: «Lo abbiamo fatto come atto di solidarietà verso le donne islamiche», la giustificazione. Parole che hanno attizzato la brace sotto la cenere, con gli iraniani che reclamano «l'esclusione della squadra americana dai Mondiali»: «Dagli Usa una gravi offese verso di noi e violazione delle norme Fifa». Già la Fifa, altra pietra dello scandalo. E poi ci sono le parole dell'ex ct degli Usa, Jurgen Klinsmann che ha accusato l'Iran di «aver vinto contro il Galles giocando sporco». Ma quando si stratta di Iran e Stati Uniti la formula «giocare sporco» diventa, per entrambi, qualcosa di drammaticamente evocativo che va ben oltre l'aspetto sportivo. Come una maledizione. Che nel rettangolo della geopolitica ha fatto migliaia di morti. Nel rettangolo del mondiale ci sarà invece solo spazio per una delusione e una felicità. In 90 minuti do or die. In Iran la febbre segna 40; per la middle class americana la temperatura è quella di una Coca Cola dimenticata fuori dal frigo. Ma tanti non rinunceranno a pop corn e Budweiser gelata.
Khamenei, come fece alla vigilia di Iran-Stati Uniti del '98, prega sperando in un altra vendetta.
Per poi vantarsi: «A schiacciare il Grande Satana sono state le mie lodi ad Allah».
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