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La Juve "stregata" dal Benevento: sogno o realtà?

Sofferenze da corsi e ricorsi storici del cuore giallorosso

La Juve "stregata" dal Benevento: sogno o realtà?

“Sono così le storie del calcio: risate e pianti, pene ed esaltazioni”: ma vuoi vedere che il grande Osvaldo Soriano (1943-1997), straordinario poeta della pelota che fu, tifava Benevento? Chi lo sa, certo in quegli anni (era il 1998 quando uscì in libreria “Futbol. Storie di calcio”) lo Stregone giallorosso non calcava i palcoscenici importanti, no. Militava in serie C1, così si chiamava, e il 14 giugno 1998 avrebbe perso il suo ennesimo spareggio per essere promosso in serie B: Benevento-Crotone 1 a 2, sul neutro di Messina. Il capitano era Massimo De Solda, i bomber si chiamavano Francesco Passiatore e Tiziano D’Isidoro. Perdemmo quella nostra finale di coppa del mondo, e avremmo perso anche l’anno dopo, sempre contro il Crotone, questa volta a Lecce. Una lunga e amarissima serie di finali perse.

Come spiegare cosa sia passato nelle menti e nei cuori beneventani ieri davanti alla tv che trasmetteva lo Juventus Stadium di Torino riempito solo dalle urla di giocatori e panchine? Con il cardone. Si tratta di una delle colonne portanti della gastronomia beneventana. Un piatto natalizio, ma che sta bene in questa gelida primavera. Gli straccetti di pollo ok, le polpettine di magro ok, il brodo ok; ma provateci voi a sfilettare a mestiere il cardo per non renderlo immangiabile prima e indigeribile poi. Ecco, nel cardone c’è la differenza tra la Campania felix e l’altra Campania, quella interna. Là Napoli, città-mondo unica nel calcio come nella vita, e Salerno, altro piccolo Brasile con una passione calcistica riconosciuta da tutti. Qua, verso l’Appennino, Sannio e Irpinia. Capirete: da Benevento abbiamo visto per anni l’Avellino protagonista in serie A, mentre noi eravamo sperduti nell’interregionale, tra i dilettanti. Chi scrive ieri ha avuto per un attimo la sensazione del déjà-vu, una sensazione già vissuta in modo identico. Quella gioia fanciullesca che non riesce a esplodere, trattenuta com’è dall’incredulità; era una domenica fredda di ghiaccio, 3 febbraio 2013. I nostri eroi dello Stregone giocavano ad Avellino per lanciare l’ennesimo assalto alla promozione in serie B. Loro, i lupi irpini, sembravano favoriti in una partita con poca storia. Invece in quel pantano di fango, sangre y mierda che era diventato il campo del Partenio di Avellino il mondo si colorò di giallorosso: 2 a 0 in trasferta, gol di Marotta e Marchi.

Ecco, ieri c’è stata quella stessa sensazione. Minuto 69’ della partita. Il difensore della Juventus Arthur che fa il più sciagurato dei disimpegni difensivi, palla in orizzontale davanti alla porta bianconera. E tu pensi: Bonucci rincula sui suoi passi e “spazza” l’area con un rinvio alla viva il parroco. Invece no. Bonucci guarda il pallone e crede che il suo compagno di reparto Danilo ci arriverà tranquillamente. Allora tu pensi: Danilo, l’altro difensore, la recupererà. Invece no. Invece accade l’imprevisto, l’imponderabile, la più goduriosa delle congiunzioni astrali: su quel pallone gustoso arriva per primo l’attaccante del Benevento Gaich. Danilo sembra avergli chiuso lo specchio della porta, ma il centravanti giallorosso prende la mira e trafigge nell’angolo a destra l’estremo difensore della Juve, Szczęsny. Se sullo schermo non si leggessero i nomi delle squadre in sovraimpressione, sembrerebbe il Real Madrid che sta esultando. Ma no, quello è Pippo Inzaghi che continua a impartire istruzioni ai suoi, là c’è Lapadula e poi i panchinari. Adolfo Gaich, classe 1999, argentino di origini tedesche. Oggi lo chiamano El Tanque, carro armato alto 1 metro e 90, capelli biondi, occhi chiari: uno così lo vedresti titolare della Germania, magari pure della Germania Ovest del tempo che fu. Ma non lo assimileresti mai all’Argentina. E invece gli incroci della storia hanno le loro ragioni. E pure quelli del calcio. Ecco perché lì c’era Gaich a infilzare la Vecchia Signora e a mettere la parola fine sul ciclo vincente bianconero.

E la storia di nuovo ti richiama con i suoi precedenti. Ogni beneventano avrà certamente pensato al 5 novembre 2017. La prima stagione del Benevento in A, la prima volta a Torino contro il mito bianconero, contro “quelli là”. Al 19’ del primo tempo Amato Ciciretti, il fantasista della squadra, lascia di sale Buffon con una punizione dal limite a giro che profuma di Brasile sannita. Poi nella ripresa i nostri si fanno rimontare e perdono 2 a 1, ma tornano da Torino a testa alta. Anche se a fine stagione sarà retrocessione in serie B. Ieri la saetta di Gaich è caduta al 69’, cioè 24 minuti dopo l’inizio della ripresa. E tu pensi: manca troppo tempo alla fine, 21 minuti più recupero, un’eternità! I rabbiosi attacchi degli juventini versione blu notte s’infrangono contro la diga Montipò, il portiere venuto dalle risaie novaresi, o contro la curva vuota dello Stadium (Danilo si divora così un gol facile facile). E non sai se aspettare il pareggio della Juve per smettere di soffrire e spegnere il televisore o continuare a soffrire con i ragazzi. Alla fine si resta, qui si fa la storia, e la storia è sofferenza. “Quelli là” continuano ad attaccare, pochi minuti dopo il gol il difensore giallorosso Foulon scivola in area e lo juventino Federico Chiesa gli frana addosso. E ti sembra che il film prenda una trama che hai già visto troppe volte perché possa ancora sorprenderti: rigore per loro, pareggiano e poi la vincono in rimonta. E invece no, l’arbitro Abisso non fischia, il Var non interviene e i minuti continuano a scorrere. Fino alla fine: vittoria, un “2” insperato e dolcissimo sulla schedina che non c’è più. Vedi Pippo Inzaghi abbracciato dalla panchina, Cristiano Ronaldo che lascia il campo incavolato. Pensi a Carmelo Imbriani, indimenticata bandiera del calcio beneventano, sannita di San Giovanni di Ceppaloni, che se n’è andato troppo presto, a soli 37 anni, e ad Antonio Vanacore, preso dal coronavirus a soli 45 anni, che pure vestì in passato i colori giallorossi.

Guardi la festa in campo, è tutto vero, è realtà, lo dice anche il tabellone luminoso dello Juventus Stadium. Da oggi Benevento la conoscono davvero tutti e senza bisogno di Google Maps. I blancos sanniti hanno sbancato la Torino bianconera, hanno decretato la fine di uno dei loro cicli vincenti. 21 marzo 2021, una data per la storia. Non si vinceva dalla trasferta a Cagliari, il giorno dell’Epifania. Dalla chiusura delle feste natalizie fin quasi alla vigilia di Pasqua. Da festa a festa, con la più dolce delle sorprese in un uovo cioccolatoso anticipato. E bagnato dal giallo liquore che ancora oggi è il marchio di fabbrica della città stregata.

“Abbiamo un sogno di meno” scrisse una mano su uno striscione in occasione del primo scudetto del Napoli, il 10 maggio 1987. Anche i beneventani da oggi hanno un sogno di meno.

L’altro si chiama salvezza e c’è da lavorare, perché il campionato è ancora lungo. Cosa pensavate? Pulire i cardi, sfilacciarli, non è una cosa semplice e breve come sembra. Da quello dipende il successo del cardone nel piatto e a tavola…

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