«Cosa vuol dire essere milanista? Se dovessi spiegarlo a un giovane tifoso, avrei qualche difficoltà. Posso soltanto dirgli che quella maglia e questa società sono state la mia vita e la mia passione. Sono partito che ero poco più di un ragazzino e col tempo sono diventato anche più saggio. Ne ho viste tante che potrei parlare per serate. Eppure la mia più grande fortuna è stata incontrare le persone che hanno fatto la storia del Milan».
Gli incontri fatali «A cominciare da Gianni Rivera per passare a Rocco, a Liedholm, a Silvio Berlusconi e a Sacchi: sono loro gli incontri fatali. Gianni è stato il mio primo capitano. Ho appreso molto dal suo modo di interpretare, dentro lo spogliatoio, quel ruolo che non è decisivo ma può aiutare nei momenti più complicati. Poi mi lega a lui il primo scudetto vinto in carriera con una squadra che non era certo irresistibile e nemmeno la più forte del torneo. Parlare di Liedholm mi fa venire ancora i brividi. A quei tempi, nel calcio italiano, non era consuetudine lanciare i giovani specie poi in una squadra come il Milan. Non solo. Ma nel mio ruolo, quello di libero, spesso finivano calciatori dotati di grande tecnica ed esperienza che arretravano dal centrocampo a fine carriera. E invece Liedholm decise che ero pronto per giocare in serie A e mi accompagnò al debutto».
Il giorno del debutto «Lo ricordo benissimo quel giorno. Fu fortunato perché a Verona, quel pomeriggio dell'aprile del 78, vincemmo 2 a 1 e devo dire onestamente non fu una prestazione esaltante la mia. Avevo solo 17 anni e ancora molto da imparare. A fine partita, entrai nello spogliatoio e diventai rosso come un peperone. C'era il paron Nereo Rocco che faceva commenti personalizzati sulla prestazione. Appena incrociò il mio sguardo disse in dialetto triestino: Hai giocato anche tu?. Fu il mio battesimo del fuoco».
Silvio e Arrigo «Berlusconi è stato il mio presidente. L'ho avuto per 30 e passa anni e fin dal primo giorno ci ha contagiati con la sua ambizione ma anche con la lungimiranza perché vedeva prima degli altri scenari e sviluppi del calcio non solo quello italiano. Quando ho smesso giocò d'anticipo, ancora una volta. E decise di ritirare la maglia numero 6 che è stato un grande riconoscimento. Ancora oggi nel rievocare quella famosa cerimonia al raduno del Milan di Capello mi emoziono. Sacchi è stato l'allenatore che mi ha completato e migliorato e ha rivoluzionato non tanto l'aspetto tattico che pure è risultato decisivo ma il modo di allenarci, di preparare le partite e di affrontarle».
Più bello e piu brutto «Il ricordo più brutto è legato alla seconda retrocessione in serie B non solo per l'esito di quel campionato ma anche perché coincise con una malattia: rimasi fermo 4 mesi per una infezione da stafilococco. Fu proprio una stagione disgraziata. Invece di belli non ho vissuto solo giorni ma mesi e anni interi. Se devo proprio scegliere punterei sulla sequenza tra maggio 88 e dicembre '89 perché coincise con lo scudetto vinto dopo il duello vinto con Maradona, la prima coppa dei Campioni a Barcellona e poi il viaggio a Tokio dove alzammo la coppa Intercontinentale. Per fortuna non ho grandi rimpianti. L'unica finale persa che rimpiango fu quella col Marsiglia: meritavamo noi ma si vede che non era destino».
Due maglie, tre mondiali «Ho avuto solo due maglie, quella del Milan e quella azzurra. Non ho mai ricevuto proposte di cambiare squadra, nemmeno quando il Milan finì in B: l'interesse della Juve era solo una voce, mai contattato direttamente. Piuttosto nessuno come me può vantare questo record: in Nazionale ho partecipato a tre mondiali, una volta sono arrivato primo, una volta secondo, una volta terzo. Bearzot tentò disperatamente di farmi giocare mediano perché voleva che facessi coppia con Scirea, il numero uno da libero. Ho tentato di adattarmi, senza riuscirci. Andai in Spagna senza giocare nemmeno un minuto ma quell'esperienza mi servì moltissimo. Non ho patito per il rigore fallito a Pasadena nel 94: anzi, ho sempre ringraziato gli altri compagni che avevano aspettato che guarissi dall'infortunio portandomi in finale. Non ho mai vinto il Pallone d'oro, l'ho solo sfiorato. Ma davanti avevo un certo Van Basten».
Maldini, Donnarumma e Rangnick «Difficile dare consigli a Paolo Maldini circa il suo futuro da dirigente. Con lui in campo, ho scoperto, abbiamo un record difficile da eguagliare: in 196 partite abbiamo subito soltanto 23 gol. Complicato dare consigli a Gigio: se me lo chiedesse, gli suggerirei di fermarsi al Milan per tutta la vita. Non conosco Rangnick ma so per esperienza che non bisogna essere prevenuti dinanzi alle novità. Romagnoli è tra i migliori difensori italiani. Deve sapere che un capitano è capitano non per quella striscia di stoffa. Nella mia carriera io non contavo più degli altri, mi imponevo sul campo e mi segnalavo per i comportamenti. Il segreto è: essere sincero e avere coraggio. Se devo indicare un difensore top, penso a Van Dijk».
Brescia, il virus, il calcio «Sento spesso i miei parenti a Travagliato, paese del bresciano che per fortuna è stato colpito poco. Mi hanno raccontato l'atmosfera tremenda che c'era dalle parti di Bergamo e Brescia. Il nostro Paese è stato messo a dura prova, c'è una ferita profonda, non sarà semplice rimarginarla. Penso alla sofferenza di chi ha perso parenti e amici e chi ha vissuto in prima linea a contatto con la morte. So che tutti gli appassionati sperano che il campionato di serie A riparta. Mi metto nei panni dei calciatori: non è facile giocare in stadi vuoti. Ma se lo faranno in sicurezza e ci saranno comportamenti responsabili credo sia giusto dare un po' di svago e di allegria».
Il Milan di oggi e di domani «In ogni club ci sono dei cicli e dei cambiamenti.
Nel Milan ci sono stati due cambi di proprietà, nessun paragone quindi con l'era Berlusconi rimasto per 30 anni presidente. Oggi c'è tanta concorrenza in più, vanno rispettate alcune regole tipo FFP. Penso comunque che il Milan possa tornare in alto».
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