Benny Casadei Lucchi
nostro inviato a Monte Carlo
Nel Gran premio dei due Niki solo uno ha fatto il Niki: Lewis Hamilton. Anzi. Generoso com'è di questi tempi, a parte con il principe Alberto un po' snobbato in fase di premiazione, Lewis ha fatto il Niki, ha fatto l'Ayrton, ha fatto il Fangio, ha fatto il Clark, regalando un frullato di talenti diversi che gli ha permesso di vincere una gara che, probabilmente, molti avrebbero perso. L'altro Niki, quello più caro ai tifosi di rosso vestiti, ha invece interpretato solo se stesso: cioè il Vettel. Che di questi tempi è anche pochino. Fatto sta, i due Niki sono arrivati primo e secondo, uno indossando il casco che Lauda utilizzava a inizio anni Ottanta, quando vinse il terzo titolo, al volante della McLaren; l'altro con il casco della leggenda, quello rosso rosso dei primi due titoli con la Ferrari, quello del fuoco, delle piaghe, del rientro incredibile e doloroso di Monza, quello del ritiro misterioso sotto il diluvio del Fuji. Ma nulla di leggendario si è visto nella sua gara.
È vero, come dirà il team principal Binotto, «che chiudere al secondo posto partendo quarti a Monte Carlo è un buon risultato visto che non si sorpassa». Ma vero anche che senza Leclerc, Sebastian difficilmente avrebbe visto il podio. «Da tifoso l'aggressività mi piace, da team principal va gestita... ha osato troppo ma l'attitudine è quella giusta» le parole del boss sul monegasco. Scattato dalla 15ª piazza, Charles ha infatti apparecchiato una gara d'altri tempi che purtroppo, essendo troppo di altri tempi, si è conclusa dopo una quindicina di giri. Ma solo dopo aver regalato un sorpasso emozionante, e un altro tentato e finito con una gomma bucata con il corollario di un giro di rientro a spargere brandelli polimerici qua e là. Conseguenza: safety car, tutti dentro a cambiare gomme e, non richiesto ma molto molto utile alla causa ferrarista, il pasticcio di Verstappen, fin lì comodo terzo, finito in uscita di pit lane a sportellare il povero Bottas (in quel momento 2°) pur di tenerlo dietro. Risultato: gomma forata per il finlandese e cinque secondi di penalità per l'olandese al volante da scontare a fine gara. Concluderà virtualmente secondo ma di fatto quarto, dietro anche a Bottas. Merito di tutto questo? Di Leclerc.
«Sì, ho preferito non prendere rischi» dirà Vettel, spiegando la sua gara senza sussulti, «sì, avevo un passo migliore di Verstappen e Hamilton in difficoltà con le medie rovinate, ma quando si segue in fila, temperature e gomme diventano un problema ed è rischioso azzardare». Ben ha fatto. Però di compitino si tratta, non di grande gara. Anche se giustamente, Binotto, dopo tante critiche si toglie un sassolino: «Non sbagliamo solo noi...». Ogni riferimento è puramente voluto: alle gomme medie montate in regime di safety car a Hamilton mentre i diretti rivali sceglievano le dure, «su un'altra pista avremmo perso la gara» ammetterà Toto Wolff.
Ed è proprio qui che la forbice tra quanto mostrato dal primo Niki e il secondo Niki diventa imbarazzante.
Uno ha preso rischi guidando sulle tele «e ad un certo punto mi sono detto o vado a sbattere o vinco ma io a questa vittoria non ci rinuncio..., per questo è stata una delle gare più dure della mia vita però lo spirito di Niki era con me».Su questo non è dato sapere. Di certo, in pista, nonostante due caschi di Niki, se n'è visto solo uno.
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