L'ItalAtletica dall'oro al legno, ma è viva

Dai 5 trionfi di Tokyo agli altrettanti quarti posti di Parigi: però i numeri sono da big

L'ItalAtletica dall'oro al legno, ma è viva
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Quelle righe, prima di tutto: «Grazie a tutti voi perché state trasformando in un'impresa quello che vivo dentro di me come un fallimento... Grazie perché seppur consapevole di uscirne sconfitto, ora che questa agonia è finalmente finita, una piccola vittoria riesco a vederla, e la vittoria siete voi». Così Gimbo Tamberi il giorno dopo, il suo abbraccio a chi lo ha sostenuto. C'è anche un mondo che l'ha criticato prima, durante e dopo, ma conosciamo quel mondo. E ce n'è un altro, fra social e appassionati, che non odia sulla tastiera, semplicemente non sa. È il mondo che ha messo in discussione allenamenti e dieta e quant'altro. A quel mondo hanno risposto secchi sia il presidente Federale Stefano Mei che il direttore tecnico Antonio La Torre. Mei: «Facile parlare senza essere in pedana. È Gimbo che ci va, che sa cosa fare prima e durante. È il miglior professionista mai conosciuto, dal 2011 sempre a medaglia. Una colica renale una settimana prima, chi mai poteva metterla in conto. È semplicemente sfiga». E La Torre: «In ogni istante c'erano i nostri medici, Gimbo ha voluto onorare la maglia, l'Italia, tutti. E cominciamo a parlare di cultura, ascoltate meglio questi ragazzi...».

Perché l'atletica è uno sport che non si improvvisa. Né praticandolo né commentandolo. Per cui se pronti partenza e via si scende in pista o in pedana ecco che si rimane lì, inebetiti, a fare cartellonistica. Bisogna sentirla dentro per osmosi, per dirla con la Battocletti. Non basta appassionarsi all'improvviso, agli Europei, ai Mondiali, alle Olimpiadi, quando rimaniamo affascinati dal talento e dalla fatica di Nadia Battocletti, argento, dalla leggerezza e profondità di Mattia Furlani, bronzo, dal salto maturo e transoceanico di Andy Diaz, bronzo. Le medaglie di questa spedizione. Splendono, luccicano, però non sono i 5 ori 5 della fiaba a porte chiuse di tre anni fa a Tokyo. Fallimento, passo indietro, nulla di tutto ciò. «Certo che avrei preferito 5 ori, ma con un benchmark di quel livello, difficile migliorarlo, per cui mi ero posto un obiettivo di 6-8 medaglie». Ci sono 3 numeri che rendono l'idea di come sia realmente andata la nostra atletica. Il primo è una battuta di Massimo Stano: «Passare da 5 ori a 5 legni è un attimo». E così è successo. Il secondo numero lo snocciola sempre Mei: «Era da 40 anni che non avevamo 17 finalisti, ma nel 1984 a Los Angeles, mancava tutto il blocco dei Paesi dell'Est». Il terzo dato lo introduce La Torre: «Siamo sesti nel mondo nel placing table, e sento profumo di futuro in questi 5 quarti posti. Se li analizzate, c'è un passaggio dalla generazione di Tokyo a questa new wave che ha saputo dire noi ci siamo già. E nei prossimi 4 anni saremo protagonisti in tutti i campionati. Prima di Parigi sarei stato molto prudente nel dirvi questo: 65 punti nel placing table, il mondo dice che l'Italia è una delle potenze mondiali dell'atletica. Oggi possiamo dirlo, fino ad oggi non potevamo». E a chi pensa che la programmazione sia stata sbagliata, che siano stati privilegiati gli Europei di Roma, La Torre è categorico. Dopo Roma, La Torre aveva detto «guardate che a Parigi sarà tutta un'altra storia». Ora dice: «Andate a vedere che cosa avevano fatto a Roma Nadia Battocletti e Marcell Jacobs, e cosa qui».

La trentina è passata da due ori a un quarto posto per un respiro e un argento che non si era mai visto nei nostri 10.000. Nessun errore di programmazione. E Marcell? Un crono sopra i 10 a Roma, 9.85 qui. Per cui di che parliamo? Nessun errore di programmazione. Per tutti.

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