Casini e doping. Rio 2016 si presenta così. Non passa giorno che non spunti qualche inefficienza organizzativa e non passa giorno che non emerga qualche vergogna chimica. Stavolta siamo lontani dalle porcherie di Stato che hanno ucciso la spedizione russa dell'atletica, falcidiato le altre discipline made in Mosca e offerto il peggior spot che il mondo dello sport potesse preparare alla vigilia dei Giochi. Però siamo tremendamente vicini alla nostra Italia, e questo fa la differenza e fa tanto male. Perché nei casini a cinque cerchi di Rio, qui dove il vento di Barra spara in bocca il terriccio dei cantieri ancora aperti, qui, purtroppo e di nuovo, non ci è permesso parlare e raccontare solo di sport. Bisogna descrivere e annotare schifezze, analisi e controanalisi perché la famiglia azzurra, pronti e via, registra un altro caso di doping. Per di più tinto per qualche ora di giallo. E' nel volley donne, dirà infatti una voce. No, mica vero, dirà il Coni. Sospiro di sollievo? Nemmeno per idea: la positiva c'è, eccome se c'è, ma nel beach volley. Si chiama Viktoria Orsi Toth, fa coppia con Marta Menegatti.
Brutta storia. La federvolley parla di pomata. Sempre brutta storia resta. La ragazza è stata trovata positiva al Clostebol Metabolita, durante un controllo fuori competizione il 19 luglio scorso a Roma. Da qui la decisione del Tribunale antidoping di sospendere l'atleta in via cautelare. Non c'entra il Cio, non c'entra la Wada, c'entriamo noi, il nostro Tna, questione di evidenze e di buon senso e tristezze e dispiaceri e, pace, è andata così. Lei ha già il biglietto di ritorno per l'Italia mentre attende, oggi, il risultato delle controanalisi chieste con procedura d'urgenza. Nel caso, la sostituta dovrebbe essere Rebecca Becky Perry.
Vien male per questa nostra Italia dello sport. Succedono troppe cose. Basti ricordare il caso Schwazer-bis scoppiato nel giorno della consegna della bandiera alla Pellegrini con tutti i vertici al Quirinale. Dove un segugio della Wada pensò bene di andare a bussare per fare un prelievo a un'altra atleta. E ora questo. Ovvio che ci sia nervosismo nella spedizione. Pensate al percorso ad alto tasso chimico che sta accompagnando l'avvicinamento olimpico azzurro. In primavera la squalifica di 16 mesi per Vincenzo Abbagnale, figlio del mitico Giuseppe ora presidente della Federazione canottaggio, punito per aver saltato dei controlli e, come dice suo padre, "Vincenzo ha sbagliato per superficialità, perché è un ragazzo, ed è giusto che paghi». E via uno. Poi via gli altri. Via Niccolò Mornati, canottaggio, 2 senza, fratello del capo spedizione dell'Italia, il vice segretario del Coni Carlo. Per di più tesserato dell'Aniene, il circolo del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Per cui non proprio una vicenda passata sotto silenzio. E via altri, via la velista Roberta Caputo (anche lei Clostebol), via il canottiere Barbaro (Clostebol), via l'azzurro dell'atletica Chatbi, 3000 siepi, caduto come Abbagnale sulle regole dei whereabouts, e via soprattutto lui: Alex Schwazer.
Che però non vuole andare via. La seconda positività che l'ha tolto dai Giochi dopo averli conquistati al rientro dalla prima squalifica si è trasformata in un thriller sportivo. Complotto sostengono i legali e l'allenatore dell'atleta, Sandro Donati, che nell'udienza dell'8 agosto qui a Rio davanti al Tas punteranno l'attenzione sulle provette non anonime, il ritardo nella comunicazione della positività, il diritto alla difesa negato, le gravi mancanze procedurali e l'assoluta linearità dei controlli steroidei ed ematici degli ultimi 15 mesi.
"Non so cosa pensare - ha scritto ieri Alex su facebook -, la confusione è tanta, è veramente dura mantenere l'equilibrio per affrontare un'Olimpiade... sempre che possa affrontarla». Ma stavolta è dura anche per l'Italia. Troppi gli inciampi per aver voglia di sorridere.
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