Risparmiamoci subito la tentazione di buttarla sul taglio umano, del genere tormento, pentimento, espiazione. Lance Armstrong non è un poveraccio, vittima del destino e delle cattive compagnie, che lotta per la redenzione. Non è nemmeno un individuo macerato, che ha capito quanto grande sia la sua colpa, così da arrivare spontaneamente al passo liberatorio e catartico della piena confessione. No, non è di questo genere la pompatissima intervista concessa alla regina della tv americana Oprah Winfrey, novanta minuti tesissimi che in Italia potremo vedere venerdì alle 21,15 sul canale DMAX. Diciamo le cose come stanno: Armstrong arriva a questo capolinea, alla confessione della più vergognosa storia di doping che il genere umano ricordi, solo perchè costretto dagli eventi. In bicicletta ha battuto tutti, giocando molto sporco e molto pesantemente, ma una volta sceso di bicicletta ha trovato un duro più duro di lui, il detective Travis Tygard, segugio dell'agenzia antidoping americana (Usada), capace di inchiodare il mito al muro, mettendo assieme con coraggio e cocciutaggine da film thriller una montagna di testimonianze.
E' sempre bene non dimenticare nulla: prima di presentarsi davanti alla telecamera per strappare un po' di comprensione e magari un veloce perdono, Armstrong ha cercato per anni di delegittimare il suo accusatore, di intimidire i suoi ex compagni, di oliare molte ruote ai massimi vertici delle organizzazioni internazionali. In questa difesa indignata e minacciosa non ha badato a spese, ingaggiando gli avvocati migliori. Per anni sempre lo stesso disco: io sono un campione pulito, il doping mi fa ribrezzo, chi mi accusa deve stare molto attento, perchè un giorno pagherà per tutto il fango che mi sta gettando addosso.
E' finita in un altro modo. Radiato dallo sport americano, spogliato di sette maglie gialle (quelle del record disumano) dal Tour, rinnegato dal suo pubblico, dai suoi sponsor e persino dai suoi amici della lotta al cancro, non gli è rimasta che l'ultima carta in mano: confessare quello che tutti sanno già. Ovviamente il testo integrale dell'intervista non è noto, ma le anticipazioni parlano chiaro: nemmeno Armstrong difende più il mito di Armstrong. Per sua stessa ammissione, è una gloria costruita sul falso, a partire sin dall'inizio, inizi anni Novanta, ancora prima della tragica avventura con il cancro. L'unica vera curiosità che resta sospesa riguarda i nomi di chi, secondo l'accusa, ha coperto il doping sofisticato del campione fasullo. Stando ad alcune testimonianze emerse in questi mesi, risulterebbe addirittura che dentro la stessa Uci, la federazione mondiale, qualcuno abbia sempre avvertito in anticipo Armstrong dei controlli, arrivando persino a spiegargli come evitare di lasciare tracce. Ecco, se davvero Armstrong ha deciso di scoperchiare il pentolone, allora quanto meno la confessione risulterà utile, produttiva, efficace, benchè forzata e fuori tempo massimo.
Il resto è ancora una volta lucido calcolo. Armstrong cerca di scambiare la confessione con una grazia per gareggiare nel triathlon, nuova fissa dell'età senile. Di più: cerca di ottenere clemenza nel procedimento per falsa testimonianza, avendo giurato davanti alle autorità federali di non essersi mai dopato. E inoltre: incombe sempre la possibilità che il governo federale lo trascini alla sbarra per truffa, avendo spillato allo sponsor US Postal, le Poste americane, tantissimo denaro (trenta milioni di dollari), garantendo in sede contrattuale di correre pulito. Come noto, l'America non è l'Italia: anche là qualcuno ruba denaro pubblico, ma quando viene pizzicato paga in modo pesantissimo.
E il pentimento? Una delle poche cose che l'intervistatrice concede in anteprima è la sua sensazione: «Non è stato limpido come mi sarei aspettata». Ma in fondo conta poco. Anche se è pentimento vero, adesso vale zero. Il pentimento nobile e rispettabile è quello che nasce prima, strada facendo, guardandosi allo specchio, non quello che matura con il sorcio in bocca e due mani nella marmellata, per puro calcolo, scopo clemenza.
Per questo, neppure l'ultimo passo del perdono è attualmente pensabile. Il perdono dev'esserci sempre, alla fine di un percorso tanto doloroso. Ma Armstrong non può pretendere di ottenerlo adesso, subito, velocemente. Il tempo delle scorciatoie, per lui, è finito.
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