Altro che Milito ignoto. Se c'è un giocatore che resterà per sempre nella storia dell'Inter, sia pure accanto a nomi illustri, questi è Diego Milito che poche ore fa ha salutato il calcio in una amichevole disputata nello stadio del suo Racing Club. Con lui c'erano Cordoba, Zanetti, Samuel e Toldo, compagni fedeli d'una avventura straordinaria, irripetibile, quella del Triplete. Nella Hall of Fame della Beneamata lui vanta un posto di rilievo perché, dal 5 al 22 maggio 2010, ha firmato i quattro gol che hanno permesso alla squadra nerazzurra di vincere la coppa Italia, lo scudetto e la Champions League. Una magica coincidenza, di quelle care agli sceneggiatori dei film sportivi, i più difficili da portare sullo schermo. In quella indimenticabile stagione, realizzò la bellezza di 30 reti in 52 partite, sempre di qualità e tecnica incredibile.
Di lui, in particolare, mi è sempre piaciuta la capacità di superare in velocità il marcatore di turno coniugando le movenze del corpo con la qualità dei piedi. «Buonissimi», disse Sacchi. Quanti avversari se lo sono visti sgusciare dalla parte opposta a quella scelta per intercettarlo! Che fosse un campione lo si era capito e visto l'anno prima quando, alla sua seconda esperienza con il Genoa, portò i Grifoni in Europa con due episodi indelebili: il gol della vittoria nel derby d'andata in casa della Sampdoria e la tripletta in quello di ritorno. Mai nessuno come lui. In totale 24 centri, meglio solo Ibrahimovic.
In maglia nerazzurra ha scritto le pagine migliori permettendo, fra l'altro, a Mourinho di schierare Eto'o e Snejider accanto a lui per la capacità di "vedere" il gioco prima di compagni e avversari: una dote unica. Qualche minuto dopo aver regalato la coppa dalle grandi orecchie all'Inter disse: «Sto provando una gioia indescrivibile, unica. Sono felicissimo per il club e soprattutto per il presidente Moratti, il primo a meritare il trofeo. Questo è il calcio, ti dà sempre una rivincita. E io l'ho trovata a 30 anni. Ho realizzato il sogno della mia vita». Un messaggio ai più giovani. Un altro l'ha dato qualche mese fa quando ha rifiutato un incarico nella federazione argentina per restare vicino alla famiglia. Nel giorno dell'addio ha sottolineato l'attaccamento alla maglia del Racing e ringraziato i club europei, non solo Genoa e Inter, ma anche Saragozza, che gli hanno permesso di giocare nel difficile calcio del vecchio continente.
Il suo più grande cruccio risale non tanto all'infortunio a crociato e collaterale che, nel febbraio 2013, gli interruppero la carriera, quanto alla scelta scellerata di chi non lo incluse nella lista
dei 23 candidati al Pallone d'Oro dopo il Triplete. Giurati comici. Milito avrebbe meritato di vincerlo quel trofeo. Anzi. Quell'anno, caro Diego, caro Principe, il Pallone d'Oro l'hai vinto tu. L'albo d'oro non è esatto.
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