Due frasi che non andavano dette, due mondi che aveva creduto simili, due errori che certamente non ripeterà. Sergio Marchionne osserva i numeri della trimestrale FCA e sono numeri grassi. Conti positivi, utili triplicati, quote mercato in aumento. Da manager avrebbe tutto per essere felice. Ma non può gioire. Perché da manager sportivo ha fallito. Due frasi, due mondi, due errori. In poco più di settecento giorni da presidente a Maranello ha visto la sua Ferrari tornare indietro di oltre due decenni. Ai primi anni Novanta, al primo Montezemolo che si era ritrovato un caos cosmico da gestire e da cui, possibilmente, uscire. All'epoca era stata necessaria una rivoluzione. E proprio a questo starebbe oggi pensando Marchionne. Era peggio allora. Perché in quegli anni era anche la produzione di serie a non regalare sorrisi. Adesso è tutto diverso e la cosa, forse, innervosisce ancor di più Marchionne: perché la Ferrari quotata in Borsa col titolo via via sempre più forte, la Ferrari del brand, delle gran turismo è una macchina da soldi che sfiora la perfezione aziendale ma questa perfezione non è merito suo. E se in pista ha ereditato un progetto che nel 2015 era stato in grado di regalare tre vittorie, adesso che le monoposto schierate sono quelle pensate sotto la sua presidenza, adesso sono solo delusioni.
Ma questo è il passato. E' guardando al futuro che Marchionne avrebbe capito quanto sia stata sbagliata la frase con cui, nel settembre 2014, a Cernobbio, aveva licenziato Montezemolo: Un manager a capo della Ferrari non si giudica solo dai risultati economici ma anche da quelli sportivi... e sono 6 anni che non vinciamo niente.... Adesso vorrebbe aver messo alla porta il suo predecessore usando ben altre parole. Avrebbe potuto. Non ha voluto. Così come non avrebbe voluto caricare di extra pressioni il team ed extra attese i tifosi con i proclami dello scorso inverno quando parlava di mondiale della rivincita e di pronti e via vinciamo in Australia e magari dappertutto. In quei giorni, persino il premier Renzi aveva commentato che, in quanto a pressioni, non avrebbe voluto trovarsi nei panni di Arrivabene, il capo del team.
Ma in quei panni, vedrete, ci potrebbero presto stare altri. E' questione di tempo, di un mondiale da terminare raschiando il barile in cerca di tardive soddisfazioni. Mancano tre gp, il primo domenica, in Messico. C'è solo da augurarsi, anche per rispetto verso Arrivabene, che in fila per sostituirlo o affiancarlo non ci siano nomi di serie B come quello del francese Boulier, ex McLaren. Serve ben altro. Però le rivoluzioni non si fanno cambiando o ridimensionando un solo uomo, potrebbe accadere dell'altro. Il tutto tenendo fisso il ruolo del nuovo direttore tecnico promosso da Marchionne in estate: Mattia Binotto.
Delle due frasi e dei due errori si è detto. Veniamo ai due mondi. Una cosa è produrre, un'altra gareggiare. A febbraio avevamo ricordato a Marchionne che la volatilità dei mercati sembra granitica certezza rispetto all'imponderabile dello sport. Ora l'ha scoperto. Troppi errori in pista. Troppi guasti. Ad Austin persino Kimi in retromarcia. E' con questa nuova consapevolezza, chiamarla umiltà sarebbe eccessivo, che Marchionne cerca adesso di correre ai ripari. Ma ha poco tempo. Ad Austin nessuno della nuova proprietà della F1, gli americani di Liberty Media, ha usato la cortesia di far visita al team di Maranello. Non si era mai vista una Rossa snobbata o trattata come le altre squadre. Segno di un trend che va al più presto invertito, tanto più che i padroni Usa meditano di togliere molti benefit milionari fin qui assegnati al Cavallino.
Ecco perché Marchionne studierebbe la rivoluzione. Che nel medio termine potrebbe toccare anche i piloti. L'imponderabile dello sport gli ha insegnato che gente come il povero Schumacher non si replica e Vettel è, sì, un campione ma non un fuoriclasse. Marchionne l'avrebbe capito progressivamente, mentre nel contempo iniziava ad apprezzare le imprese, anche sopra le righe, del giovane Verstappen. Chissà... Per cui difficile pensare a un prossimo rinnovo per Vettel (scadenza fine 2017) reduce da una stagione deludente. Inspiegabilmente, il presidente pare invece affascinato da Raikkonnen. Quasi gli servisse, visto il buon rendimento di quest'anno, per tenere in caldo un posto per qualcuno. Ed è qui che si potrebbe aprire un altro capitolo caro a Marchionne: l'italianità. Caldeggiata per fare in modo che la nostra gente torni a dare lezioni agli stranieri. La spiazzante scelta di Binotto va in questa direzione. Ma potrebbe esserci dell'altro alla voce piloti. Poche settimane fa proprio sul Giornale avevamo raccontato di Antonio Giovinazzi, il talento della Gp2 reduce da gare memorabili. Come confermato dal suo manager, Enrico Zanarini, ex di Eddie Irvine, per cui uomo che conosce bene Maranello, da tempo trattative e colloqui sono aperti con tutti i big team. Anche con la Ferrari. Che starebbe studiando un modo per non farsi scappare il ragazzo.
E visto che Marchionne ripete che nel 2019 lascerà l'incarico di amministratore delegato FCA, ma non dice mai che farà altrettanto con la presidenza Ferrari, l'apertura nel 2018 ad un giovane talento, per di più italiano, magari da affiancare a Verstappen, sarebbe il modo migliore per domare definitivamente il Cavallino che in molti, a ragione, associano ancora ai fasti di Montezemolo. Impresa impossibile? Non è detto. Marchionne quest'anno ha scoperto che l'imponderabile dello sport può essere nemico. Ma anche amico.
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