Il resto del mondo è fermo a quota cento. Per l'esattezza, a 103 punti in MotoGp e 100 in Formula uno. I padroni delle due e quattro ruote, Marc Marquez (140 punti) e Lewis Hamilton (162), stanno facendo terra bruciata delle speranze altrui. Entrambi vincendo e contando su una preziosa alleata: la iella dei rivali. A Montmelò, la staccata da bowling di Jorge Lorenzo a inizio Gp, quando ha fatto strike portando con sé Andrea Dovizioso, Maverick Viñales e Valentino Rossi, ha spalancato al leader del mondiale le porte di una gara che più facile non si può. Domenica scorsa, in Canada, la corsa vinta e non vinta di Sebastian Vettel, causa la penalità che l'aveva privato del successo, e il Gran premio perso non perso di Hamilton, avevano spinto l'inglese ancora più in vetta solitaria al campionato. A questo punto è evidente quanto sia marcata l'impronta lasciata dalla fortuna del più forte nelle due serie motoristiche. Al di là del dispiacere grande, ieri, di vedere due piloti italiani a terra a inizio gara, per di più mentre lottavano nelle posizioni di testa, e delle innegabili colpe del maiorchino, «chiedo scusa a tutti, avrei tanto voluto finire a terra solo io... ho sbagliato», è come se la dea bendata avesse deciso di infierire per dimostrare la pochezza di questi campionati da troppo tempo monopolizzati. Su sette Gran premi fin qui disputati, Marquez e la Honda ne hanno vinti quattro, Hamilton e la Mercedes cinque, spesso contando sull'occhio benevolo della dea. Di più: i rivali inseguono ora distanti 37 punti (Dovizioso e la Ducati secondi) e 62 (Vettel e la Ferrari terzi). Del compagno di Lewis, Valtteri Bottas, che dire? È rimasto in corsa nelle prime cinque gare, ma ora sembra proprio che le gerarchie interne si siano ristabilite: è secondo a 29 punti dal capo squadra.
La sfiga, dunque, come cartina tornasole della bontà di un campionato. Se fossero serie veramente combattute e incerte, in termini di schieramenti di forze e competitività, le fortune a senso unico dei leader non inciderebbero così come invece avviene. L'altra analogia tra motomondiale e Formula uno riguarda la sfera umana. Jorge Lorenzo ricorda il Sebastian Vettel di fine 2018, imperfetto, ansioso di far bene, in evidente difficoltà con il compagno. Per la verità, ricorda anche quello di questo avvio di campionato. Non dobbiamo infatti dimenticarlo mentre attendiamo di capire se la scuderia di Maranello riuscirà a ottenere la revisione del procedimento a carico del tedesco in Canada: tutto il pasticcio di Montreal è nato da un suo errore. L'ennesimo.
Resta comunque il rammarico per l'occasione persa dai nostri a Montmelò e il terzo podio di fila (due terzi posti e la vittoria del Mugello) di Danilo Petrucci dietro a Quartararo non può lenire più di tanto il dispiacere. «L'errore di guida di Lorenzo» spiega Dovizioso, «di per sé non è grave... Lo è a livello di lucidità: aveva troppa foga in quel punto con altri quattro piloti vicini. Corre da tanti anni, dovrebbe saperlo... Non si deve puntare il dito contro di lui, ma va comunque penalizzato... Sono deluso, mi sono giocato la vittoria... non credo a sfortuna e fortuna però stavolta stanno mettendomi alla prova». Quanto a Valentino, «sono sfortunato, peccato, mi sarei giocato il podio, andavo bene...
» dice, «Jorge? Arriva da un momento difficile, era lì davanti e ci ha provato». «Non era fuori controllo, non andrebbe punito» è invece convinto il compagno di Lorenzo e leader mondiale. Detto e fatto. Non punito. Fortuna anche questa? Intanto, come in F1 riecco i giudici nella bufera.
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