Sinisa Mihajlovic si è tolto la corazza ed è sceso nell'arena della vita per combattere un nemico inaspettato. «Ho la leucemia in fase acuta, aggressiva ma attaccabile e questo è quel che conta» ha spiegato nel bel mezzo della conferenza stampa convocata a Casteldebole per svelare il giallo che aveva avvolto la sua assenza dal ritiro del Bologna. L'ha fatto a modo suo Sinisa, mostrando le debolezze dell'uomo che si è accorto a 50 anni di non essere invincibile, cedendo qualche volta, due in tutto, alle lacrime senza mai indietreggiare di un centimetro. «Non sono lacrime di paura» ha avvertito. «Io rispetto la malattia, l'affronto, so che vincerò. Non vedo l'ora martedì di entrare in ospedale: prima inizio e prima finisco» ha raccontato piegandosi a una tenerezza che è sempre stata la sua cifra migliore dietro la maschera da guerriero esibita quasi per difendere il suo pudore. Prima di presentarsi davanti a taccuini e telecamere, ha parlato con la squadra in call conference ripetendo gli stessi concetti seminati nei mesi passati quando gli affidarono una squadra morta nella testa e nelle gambe che lui ha saputo rianimare. «Ho detto loro che se abbiamo coraggio, vinciamo, in difesa si perde. In questa sfida userò la tattica che piace a me e vincerò per me, per mia moglie, per la mia famiglia che adoro e per tutti quelli che mi vogliono bene» il riassunto del saluto allo spogliatoio.
Già, la moglie Arianna. «È stato difficile farle credere che avevo la febbre a 40 e non potevo andare in ritiro, io che non ho mai avuto la febbre in vita mia» il racconto molto intimo di Sinisa prima di addentrarsi nei particolari. «Il 25 febbraio ho fatto gli esami e stavo bene. Ho allenato tutti i giorni fino al 27 maggio del campionato e stavo bene. Sono tornato a casa, non avevo stanchezza né chiazze rosse, correvo e stavo bene. Purtroppo o per fortuna, tornato a Bologna ho fatto altri esami del sangue e ho scoperto anomalie. Quando è arrivato il responso, leucemia, è stata una bella botta» la ricostruzione trasformata in un nuovo scatto in avanti. «Mi sono chiuso in stanza per due giorni a riflettere e a piangere, tutta la vita mi è passata davanti» la confessione tradita da attimi di commozione e di silenzio sopraffatto dall'applauso dei cronisti presenti. «Attenzione, queste non sono lacrime di paura, io la sfida la vincerò ma ho bisogno di chi mi vuole bene e non voglio vedere gente che piange, non voglio far pena, io sto bene» è diventato il suo mantra, il suo nuovo grido di battaglia.
Senza la corazza, Sinisa Mihajlovic ha voluto anche rendere un servigio alla comunità segnalando l'importanza della prevenzione. «Faccio sempre controlli, mio papà è morto di cancro, se non li avessi fatti avrei forse scoperto la malattia l'anno prossimo. Nessuno deve pensare di essere indistruttibile, invincibile perché quando ti arriva, ti cambia la vita. Ti svegli e pensi che sia un incubo e invece non è un incubo» la sua durissima esperienza raccontata con garbo, come si racconta una favola. «State sereni, io la vinco questa battaglia e spero dopo, alla fine, di essere una persona più matura».
Già perché Walter Sabatini, il ds, schierato al suo fianco, nel sentirlo parlare così, ha avuto un moto d'ammirazione. «Al suo posto mi sarei nascosto in una grotta» ha spiegato prima di declinare la decisione della società. «Sinisa rimane il nostro allenatore. Preferisco lui non al 100% a qualunque altro allenatore» la motivazione. Gianni Nanni, il medico del Bologna che martedì lo scorterà al reparto di ematologia del Sant'Orsola, non ha dubbi: «Tornerà una macchina da guerra». Come sono convinti tutti quelli che lo conoscono meglio.
Roberto Mancini, il ct, sodale di cento battaglie calcistiche, gli ha dedicato un post su Instagram: «Questo ti fa un baffo». E la Samp ha citato una frase di Boskov per ricordargli che «dopo pioggia viene sole». Buon sole, Sinisa.
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