Milano - Adriano Galliani lo battezzò habitat naturale del Milan, documentato dalle 7 Champions collezionate e dalle finali disputate (11). Col passare degli anni (addirittura 16 sono trascorsi dalla precedente semifinale datata 2007), delle epoche calcistiche (dagli invincibili di Sacchi ai meravigliosi di Ancelotti) e il ricambio generazionale (gli olandesi Gullit e Van Basten cedettero il passo alla strana coppia slava Boban-Savicevic, poi arrivarono Kakà, Seedorf e Sheva), il Milan ha sempre custodito ed esaltato una sorta di dna che è fatto di tradizioni tramandate, di metodi nell'affrontare e preparare gli eventi e di comportamenti virtuosi.
La suggestione, spontanea, è nata martedì notte grazie alla spavalda cavalcata di Leao, partito palla al piede per 50-60 metri, saltando tre birilli napoletani, molto simile a quella storica di Ruud Gullit che mise il sigillo di lacca al gol decisivo del 1 maggio 1988, data di nascita del primo scudetto berlusconiano di Arrigo Sacchi. Sul punto, il Napoli e Napoli hanno allestito un clima tossico dopo la sfida dell'andata. Maldini e Pioli, per contro, hanno alimentato motivazioni straordinarie prendendo spunto dalle polemiche frasi di Spalletti e Juan Jesus, dall'accoglienza pirotecnica dei tifosi sotto l'albergo (fuochi d'artificio sparati fino a notte fonda («mi sono svegliato ma me li aspettavo più belli» la chiosa di Pioli). La scena finale del Maradona è da consegnare al manuale del fair play: tutti i rossoneri, Theo, Calabria e Giroud, in prima fila, a consolare Kvara e ad abbracciare gli altri delusi della compagnia azzurra.
Poi sono intervenuti fattori calcistici sottovalutati nelle ultime settimane da critici e addetti ai lavori: non hanno visto arrivare il Milan che nel frattempo è stato restituito a una splendida condizione fisica e capace di un piano partita utile per spegnere le luci di Kvara e la forza esplosiva del recuperato Osimhen nella serata di martedì. In 18 giorni di aprile, il mese della rinascita rossonera, il Milan ha rifilato 6 gol a 1 al Napoli padrone del campionato durante i tre appuntamenti tra serie A e Champions. Certo il contributo decisivo è arrivato al Maradona, come a San Siro e a Londra, dalla prodezza di Maignan sul rigore del georgiano. Costacurta è stato categorico («si può dire ufficialmente: Mike è il più forte al mondo») ma nessuno ha dimenticato il ruolo di Calabria e Kjaer, l'aiuto fondamentale di Krunic, Diaz, Messias e Tonali nel triplicare la marcatura.
Perciò Stefano Pioli può essere considerato più vicino alle idee e al calcio praticato da Ancelotti che a quello ambizioso di Sacchi. Non avendo la stessa collezione di fuoriclasse, ha puntato sulla gioventù migliorandone le perfomances e sull'esperienza dei rari senatori. Nel primo caso Leao può essere il simbolo.
«Mi ha preso la mano come un figlio» il riconoscimento stregato del portoghese nella notte del Maradona abbracciando l'allenatore. Nel secondo, Giroud ha rimediato a un errore (dal dischetto) che poteva costare caro e ieri ha firmato il rinnovo contrattuale per il prossimo anno (3,5 milioni bonus compresi).
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