Nibali, l'invincibile yeti salva l'epica della corsa

Nibali, l'invincibile yeti  salva l'epica della corsa

Nostro inviato alle

Tre Cime di Lavaredo
Il Giro On Ice ha il suo invincibile yeti: Vincenzo Nibali. Oltre la vittoria, assieme alla vittoria, c'è la lezione normale di un italiano serio. Di un messinese partito da bambino verso il Nord, sulle orme della fortuna, inseguendo il suo traguardo. Sempre sudare, sempre sudare. Sempre soffrire, sempre soffrire. Sempre salire, sempre salire. L'arrivo finale sta quassù, nascosto dalla tormenta, a temperature polari, dove osano le ciaspole.
Nibali alza il pugno al cielo dopo la fuga solitaria in maglia rosa, al modo dei campioni. La sua lezione normale è molto semplice e molto elementare: quando il momento è difficile, l'italiano serio sa benissimo qual è il suo dovere. «C'erano tante persone che mi aspettavano nel gelo, c'era l'organizzazione che ha fatto di tutto per salvare la corsa, c'è il ciclismo che vuole tutelare la sua reputazione: ho cercato di rispondere nel solo modo che conosco, attaccando sulle Tre Cime, in maglia rosa. Dico grazie a tutti, spero che questa vittoria serva a qualcosa».
Certo che serve, giovane campione. Serve soprattutto a voi pedalatori, per rialzare la testa dopo le mortificazioni del caso Di Luca. Il Giro si chiude in un modo talmente bello e talmente ideale, in una cornice da Centomila gavette di ghiaccio, che l'abissale stupidità dell'ultimo imbroglione viene subito cacciata via. Il campione con l'antigelo, che ha battuto gli avversari e prima ancora questo maggio fetentissimo, fradicio di acqua e di neve dall'inizio alla fine, questo campione di 28 anni con tutta una vita davanti fa da spazzaneve e rimuove tutto quanto, compresi i detriti dello stupidissimo scandalo. Tre scatti, uno più cattivo dell'altro, per sgretolare le ultime resistenze degli avversari. Poi via, scalando le ripidità del mito dolomitico, sgomberando tifosi a torso nudo, ripensando negli ultimi metri la strada che l'ha portato sin qui, partendo un giorno da Messina. È la fine del lungo viaggio, è l'inizio di un'altra storia. Il Giro 2013 consegna all'Italia il nome che cercava. Che mancava. Che serviva.
È uno strano giorno, è una stranissima atmosfera. Sul traguardo delle Tre Cime, dove negli anni Sessanta l'immenso Merckx recitò la stessa parte nello stesso scenario glaciale, è Polo Nord. Bici coperte di neve, ghiaccioli sulle ciglia, taniche di vino nei bivacchi. A un certo punto mi sembra di vedere in giro Jack London che richiama Zanna Bianca. Brividi e miraggi, realtà e fantasia, sport e leggenda. Sono giornate particolari e irripetibili, tremende e incantate, così solo una ogni cinquant'anni. Nibali non potrebbe scegliere momento migliore per mettere in banca il suo Giro. Certo l'ha già vinto con largo anticipo, strapazzando Wiggins in discesa, tenendogli botta a cronometro, staccandolo in salita. Ma anche quando il superfavorito ha girato i tacchi, per bronchite e per manifesta inferiorità, il picciotto Vincenzo ha continuato imperterrito. Prima dei tre giorni che sconvolsero il mondo - qui, ci si capisce -, gli mancava soltanto il trionfo griffato, quel particolare prestigio che solo arrivare primi sulle vette più crude imprime alle carriere e ai ricordi. Nibali non è un campione col braccino, non è un campione ragioniere e non è neppure un campione a giorni alterni. Nibali piace perché si spende e si concede, sempre. Quando arrivano le montagne vere, non si accontenta di una maglia rosa qualunque: vuole la maglia rosa senza se e senza ma, la maglia che nessuno discuterà e nessuno dimenticherà. Prima la cronoscalata, a seguire le Tre Cime. In mezzo, di venerdì, l'inverno del Giro On Ice gli cancella Stelvio e Gavia, ma ormai è un trascurabile dettaglio: si lascia dietro soltanto la sensazione che avrebbe fatto tris. Nessuna recriminazione, invece, per Uran Uran, il giovane colombiano, e per Evans, il vecchio australiano, i due differenti avversari che onorano e aggiungono carati alla grande vittoria del Made in Italy.


Vince il migliore. Vince la faccia buona del giovane campione. Senza cresta, senza tatuaggi, senza orecchini: vince un altro modo di essere campione. La lezione normale di questo italiano serio diventa eccezionale.

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