È un'Italia tanto povera

Non abbiamo più campioni e dopo la splendida parentesi dell'Europeo vinto, siamo tornati nella modestia certificata dai Mondiali mancati. E ora sulla strada per la Germania ritroviamo di nuovo la Macedonia...

È un'Italia tanto povera
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Questo è il tempo delle confessioni, anche le più dolorose e brutali. E per quel che riguarda la Nazionale bisogna convenire su un giudizio lapidario: questi siamo! Abbiamo vissuto una splendida parentesi di un mese, scandita dalla pura bellezza dell'europeo vinto a Wembley, poi però il tocco magico del ct è venuto meno, è sparito l'entusiasmo contagioso della coppia Mancini-Vialli, la difesa ha perso i suoi santi protettori e siamo riprecipitati nella modestia certificata dai mondiali di Russia e Qatar mancati. Martedì sera la nuova Italia di Spalletti è rimasta al centro del ring per circa 55 minuti prima di essere messa all'angolo e presa a sberle dall'Inghilterra che ha illuminato la scena grazie a un fuoriclasse assoluto, Bellingham, uno che nella falcata oltre che nell'affinità elettiva (Real Madrid) ha preso le sembianze del giovane Alfredo Di Stefano. Ecco il primo giudizio comparato: abbiamo forse qualche rappresentante di quella categoria tra gli azzurri? La risposta è naturalmente no. Ci siamo illusi negli anni che potessero rivestire un ruolo talenti promettenti quali Balotelli ieri e oggi Donnarumma e invece no. Dobbiamo raccontarci la verità e sapere che abbiamo giocatori normali.

Non solo. Ma considerarli invece progetti di campioni non fa altro che procurare una super-valutazione dei loro cartellini e stipendi con incassi da favola ai rispettivi procuratori senza che vi sia una pari crescita di prestazioni fisiche, tecniche e comportamentali (ogni riferimento al caso scommesse è voluto, ndc). A leggere con attenzione il differente passo tra le due nazionali emerso alla distanza, si capisce che gli azzurri sono anche poco abituati, al contrario di quelli inglesi, a giocare ad alta intensità tutte le sfide. Dalle nostre parti resistono tempi morti, piccole astuzie, sofisticate tattiche messe in atto per frenare il ritmo. E non è una questione di anagrafe. Perché martedì sera, nell'ultima mezz'ora della sfida, hanno ceduto sul piano della corsa e della posizione prima a Bellingham e poi a Kane, due ragazzi che rappresentano il futuro della difesa azzurra, Bastoni e Scalvini appena entrati, il fiore all'occhiello di Inter e Atalanta.

Chiediamoci perché da molti, forse anche troppi, anni fuoriclasse del livello di Totti, di Pirlo, di Nesta, per citarne soltanto tre suddivisi per ruoli, non sono più apparsi sulla scena. Dobbiamo darci delle spiegazioni convincenti se non vogliamo continuare a illudere e illuderci come è successo sicuramente l'altra sera, dopo quel maestoso primo tempo che è figlio del coraggio predicato da Luciano Spalletti, nuovo ct alle prese con una ricostruzione che non dipende esclusivamente da lui, nemmeno dalle sue convocazioni.

Nell'attesa di conoscere il destino finale di questo girone e quindi della partecipazione al prossimo europeo, passando dalla solita Macedonia oltre che dall'Ucraina, è venuto il tempo di passare dalle analisi sommarie ai cambiamenti se vogliamo ancora recuperare il tempo e l'onore perduti. E qui entrano in discussione anche le capacità della classe dirigente, pronta a dividersi su tutto, dai diritti tv fino alla disputa per un rigore.

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