Il padre e il figlio siedono uno accanto all'altro. Li osservi e ascolti parlare in staffetta, passandosi il testimone dei pensieri in perfetta sincronia e ti domandi come sia possibile una tale simbiosi capace di annullare le naturali distanze che a questa età separano genitori e figli. Eppure, Salvino Tortu, il padre avvocato diventato allenatore per passione e amore dei figli, e Filippo, il prodigio 22enne campione grazie alle fibre magiche regalate da madre natura, assieme emanano assoluta armonia d'intenti e pensieri. «Come a tutti, i mesi di lock-down e la tragedia ci hanno privato di molto ma anche insegnato tanto» dice Salvino. E Filippo lo segue: «Benché mi sia pesato tantissimo non fare le olimpiadi, questo strano periodo mi ha permesso di ritornare ai valori dell'atletica che ricordavo da bambino, quella delle cose semplici, delle corse fra gli alberi quando con la scuola ci aprivano i cancelli del parco del nostro paese per farci muovere, quella delle piste di provincia raggiunte in auto, con i famigliari al seguito, la gara, gli amici ai cancelli o sui gradoni, e via, si ritornava a casa... Non mi lamento, mi piace come vivo adesso, ma dopo questi ultimi anni emozionanti tutti prendi l'aereo, arriva, conferenza stampa, gara, aereo ancora, ecco... questo periodo mi ha anche fatto bene».
Ad aiutare Filippo a vivere così il lock-down, qualcosa di inaspettato. «Poco dopo l'inizio - racconta Salvino -, abbiamo ricevuto una mail da un signore in Svizzera. Non ci conoscevamo, era un nostro vicino. Ci ha scritto che a causa della pandemia era rimasto bloccato oltre confine e che, se ci avesse fatto comodo, avrebbe messo a disposizione la sua tenuta vicino a casa nostra perché sa, seguo le gare di suo figlio, quegli spazi potrebbero farvi comodo per continuare ad allenarvi.... E così ci siamo trovati con le chiavi di una tenuta di 17 ettari a 200 metri da casa, per cui nel pieno rispetto delle distanze previste dal lock-down. Ecco perché Filippo ha respirato l'aria di una volta, prati, alberi, semplicità; da quel punto di vista è stato davvero uno stacco positivo. C'era persino una pista di terra battuta lunga 120 metri... già, la terra battuta. I casi della vita: l'ultima olimpiade con un fondo così era stata Tokyo 1964 e ora hanno rinviato Tokyo 2020...». Filippo sorride, annuisce e «quel rettilineo è stato fondamentale per mantenermi in forma» aggiunge. «Diciamo che Giuseppe Negri», questo il nome del benefattore rimasto «prigioniero» in Svizzera, «è entrato nella mia squadra». A festeggiare più di tutti il nuovo membro del team Tortu, mamma Paola. Se non altro gli allenamenti sul parquet di casa sono andati riducendosi. «In effetti mi controllava a vista quando maneggiavo il bilanciere tra i mobili, diciamo che erano sessioni molto tese... Per cui sì, quella tenuta ci ha salvato la stagione».
Stagione che il 4 luglio ripartirà da Rieti con i suoi 100 metri. Pista magica, pista di record, Asafa Powell ci fece il primato mondiale, 9''74, e nel 2018 proprio Filippo centrò il suo tempo migliore di sempre, 9''97, non omologato per colpa di un filo di vento in più. «Sono una città e un impianto speciali» svela Salvino, per via di una combinazione di fattori: la posizione di Rieti, ventilata in modo tale da ridurre l'umidità nemica dei velocisti; l'ottimo fondo della pista e la cultura sportiva di quella città fanno il resto; lì è cresciuto Kobe Bryant, lì c'è una famiglia che ha dato tanto all'atletica, la famiglia Milardi, una società che compie 60 anni proprio quest'anno... Lo sport a Rieti è di casa, e il lavoro dell'assessore Donati lo dimostra. Per questo Filippo riparte da lì».
Da capire, però, se il 4 luglio scatterà dai blocchi a corsie alternate (lo prevede l'attuale normativa anti covid) o a otto corsie. Filippo di recente era sbottato sul tema, dopo aver visto certe ammucchiate nel calcio, perché loro sì e noi no, il senso. «Detto da uno che adora il calcio» precisa, «però mi sembrava giusto sottolinearlo benché già sapessi che la Federazione era al lavoro per risolvere tutto...». «Vediamo, siamo fiduciosi che arrivi presto una novità in tal senso» anticipa Salvino.
In casa Tortu, l'olimpiade rinviata, ora che sono passati mesi dall'annuncio, può essere letta come una grande delusione ma anche un'opportunità. «Avrei preferito mille volte esserci e correre, non è stato possibile, ora devo utilizzare questo tempo in più per alzare l'asticella dei miei obiettivi» dice convinto Filippo. «E migliorare ancora. Io ho due obiettivi nel correre. Uno è un sogno, vincere una medaglia, l'altro è realistico, andare in finale ai Giochi. Adesso avrò più tempo per farmi trovare preparato...». «E io per lavorare su di lui» sorride Salvino. «Una volta rinviate le Olimpiadi e cancellati gli Europei, abbiamo deciso di strutturare meglio Filippo e potenziarne la forza nei piedi... A Rieti farà i 100, a metà luglio i 200 al meeting di Monte Carlo, sempre che non gli cada un vaso in testa prima, visto che ogni volta che pronunciamo 200 gli accade qualcosa di fisico».
Tanto più che da un po' di tempo il ragazzo ammette candidamente che il suo 9''99 sui 100 gli sta ormai quasi sulle scatole. «Carl Lewis mi ha costretto a rivelarmi. È successo a Doha, ai mondiali, chiacchierando mi ha chiesto ma tu, che tempo ti sei dato come obiettivo? Quando però ha visto che cercavo di trattarlo come i giornalisti e di dribblare la domanda, si è quasi scocciato, tu adesso mi dici il tempo esatto!!!. E io ho confessato: 9''92. Non so se a breve o nel lungo periodo, ma ci voglio arrivare. Perché è il crono di Christophe Lemaitre, il più veloce sprinter bianco». «Sono 160 gli atleti che nella storia sono scesi sotto i 10'' e solo tre sono caucasici» spiega Salvino, «questione di fibre muscolari». Quasi lo sport cercasse di restituire ciò che la società toglie. Lo sport che, visti i tempi, viste le manifestazioni antirazziali, ha sempre regalato lezioni di uguaglianza e umanità. Livio Berruti, ad esempio, che nel 1960 andava a passeggio per mano con la fuoriclasse afroamericana Wilma Rudolph durante i Giochi di Roma. «Livio ama dire che lo sport è sempre avanti di almeno 60 anni rispetto alla società, e guarda caso sono trascorsi proprio 60 anni...» fa i conti Filippo. «Io devo smentire Berruti» corregge Salvino, «lo sport è avanti più di 60 anni, penso al gesto del tedesco Luz Long ai Giochi del 1936, quando Jessie Owens rischiava di non andare in finale nel lungo perché non vedeva bene la pedana di stacco e lui mise la sua tuta in quel punto per dargli un riferimento. E alla fine venne battuto da Owens. Che cosa c'era di più razzista della Germania di Hitler? Luz finì al fronte. E morì. Diciamo che Livio fu il primo dal punto di vista sentimentale, Luz il primo dal punto di vista sportivo».
È ora di tornare ad allenarsi. «Sa», confida Filippo cambiando discorso, «sport a parte, stamane ero fuori dal liceo di mia cugina, per la maturità, e ho pensato a quanto mi dispiacesse per lei e tutti gli altri maturandi. La quinta è l'anno più bello, e non poterlo vivere insieme, tutti a scuola, deve essere stato terribile.
Però penso anche che noi giovani abbiamo dentro la capacità di adattarci agli eventi e di cogliere le opportunità da ogni cambiamento, anche negativo come questo». Salvino non aggiunge altro. Resta in silenzio. L'allenatore è sparito. C'è solo un padre. Che ascolta.
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