
La coreografia, i cori, i decibel dagli altoparlanti. Poi il silenzio e San Siro che si spegne ancora prima di accendersi davvero. Prima della partita è stato il momento del ricordo di Papa Francesco: le sue parole, da uomo di sport ancor prima che da pontefice. Le immagini e la musica di Ennio Morricone che portano tutti ad alzare lo sguardo verso il cielo, verso i tabelloni luminosi. L'argentino Lautaro tiene lo sguardo basso, Conceicao è immortalato con gli occhi umidi. Le tifoserie stanno per cantarsele di santa ragione, ma il religioso silenzio non è una frase fatta. Le due curve in silenzio a osservare l'omaggio a Bergoglio, nessuna voce a rompere il clima di compostezza così anomalo in uno stadio che si gioca l'accesso alla finale con un derby. Segno di maturità e lezione indiretta anche al cacofonico concerto di dichiarazioni, retromarcia e prese di posizioni di poche ore prima, quando la politica sportiva dibatteva come e quando organizzare la partita tra Inter e Roma.
Il calendario non guarda in faccia nessuno, al dispetto dei santi. L'Inter, alla vigilia, aveva anche preparato il derby con almeno 4 undicesimi diversi da quelli che poi sarebbero scesi in campo, nella convinzione che la sfida ai giallorossi sarebbe stata spostata più avanti, a maggio. «Abbiamo chiesto di rinviare perché era giusto», la conferma di Marotta prima del fischio d'inizio. «Penso che sia la prima volta che una squadra impegnata in semifinale di Champions a Barcellona giocherà di domenica, ma lo facciamo con spontaneità. Abbiamo cercato il rinvio ma abbiamo capito che il calendario è troppo intasato e non c'era spazio per ricollocare il match». Si rischiava di falsare la volata scudetto.
E avrebbe significato avere Miki e Bastoni con i giallorossi. Ecumenico il finale: «Questo ci permette di pensare ai problemi terreni: il calendario è molto fitto, dobbiamo rimetterci mano perché il calcio possa tornare esempio sociale con armonia di competizioni».
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