Il paradosso delle atlete italiane. Sempre sul podio, ma dilettanti

Una legge del 1981 stabilisce che siano Coni e federazioni a decidere chi è professionista e chi no

Il paradosso delle atlete italiane. Sempre sul podio, ma dilettanti

Il doppio successo di Flavia Pennetta e Roberta Vinci, che si sono disputate una finale tutta italiana agli ultimi UsOpen, e il trionfo storico dell'Italia con l'oro ai Mondiali di ginnastica ritmica di Stoccarda hanno riaperto una questione lunga più di 30 anni.

Le nostre atlete, che eccellono nello sport come o più dei colleghi maschi, secondo il Coni sono delle dilettanti. Basti pensare a Federica Pellegrini, Tania Cagnotto, Valentina Vezzali, e a tante altre che si uniscono alle già citate, per capire quanto ci sia di sbagliato nel definirle non professioniste.

La colpa è di una legge del 1981 che dà al Coni il potere di stabilire quali atleti e per quali discipline si possa utilizzare la definizione di professionista. E ad oggi gli unici atleti professionisti sono solo maschi e solo in determinati sport.

Un vuoto costituzionale che impedisce alle atlete di un certo livello di vivere lo sport come un vero e proprio lavoro, anziché un hobby. A richiamare l'attenzione sul problema ci penserà il 26 settembre a Roma il Meeting Nazionale per lo Sport Femminile, organizzato dall'associazione Assist (Associazione nazionale atlete) e dai sindacati degli atleti italiani.

La situazione di dilettantismo forzato danneggia anche gli uomini che competono nella pallavolo, nel tennis e nel nuoto, tre dei tanti

sport per i quali il Coni non prevede la categoria "professionista". Per le donne dello sport italiano non + sufficiente vincere moltissimo e ottenere riconoscimenti impensabili. Al momento rimangono sportive di serie B.

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