Questa volta se ne andrà davvero, non come nel 2006 quando la Juventus era in rotta e c'era la lista d'attesa per averlo. Questa volta non sarà come nella primavera del 2011 quando, nel punto più basso dei suoi rapporti con la società, lui voleva sbattere la porta e il suo procuratore, anche un po' zio, Silvano Martina, lo trattenne. Con Mino Raiola sarebbe volato, come farà l'erede designato in azzurro Donnarumma.
Gianluigi Buffon, professione portiere, il più grande della storia italiana e sul podio dei grandi della storia del football, a quarant'anni avrebbe voluto chiudere diversamente, anche se il settimo scudetto consecutivo è un gran risultato.
Però pensa pure di evitare la passerella di Italia-Olanda allo Stadium. Troppe critiche, anche malevole, prima per la convocazione di Di Biagio con Argentina e Inghilterra, poi per la faccenda di Madrid.
Gigi sognava di finire in campo al sesto Mondiale e, magari, con la prima coppa dei Campioni. Ma il destino, una generazione di non fenomeni tra i compagni d'azzurro e un arbitro frettoloso, hanno stabilito diversamente. Peccato, ma resta un percorso straordinario quello del ragazzo carrarino della banda di via Cadorna, il gruppo di amici con cui è cresciuto e a cui è ancora legato. Nato centrocampista, fu suo padre a suggerirgli di mollare la vita da mediano per mettersi in porta.
Gigi Buffon ha conquistato il suo nono scudetto per le carte bollate ma per lui è l'undicesimo. Nulla gli toglierà dalla testa, considerata anche la prospettiva privilegiata da cui li ha osservati, che quelli del 2005 e 2006 non fossero stati regolarmente conquistati sul campo.
Un record comunque, già a otto era diventato uno dei quattro calciatori italiani con più titoli. E tutti con la stessa squadra. Diciassette anni alla Juventus. Gigi Buffon è come un grande ristorante classico, di quelli che ama frequentare perché ha spirito da gourmet: il suo segreto è la continuità. Nel 2010 quando la Juventus pensava di sostituirlo con Storari e John Elkann, il padrone, diceva di non averlo «più visto», Gigi confidò: «Guardo i migliori portieri e penso che se la concorrenza è questa durerò ancora a lungo». Aveva ragione, nessuno dei rivali di allora ora sta sul proscenio. Su ogni scudetto ha messo la firma, con una parata fuori dal comune o uno scossone allo spleen bianconero. Del nuovo ciclo della Juventus, araba fenice rinata dalle ceneri dello sprofondo 2006, è stato un pilastro. A lui e a Pirlo, appena arrivato nel 2011, Antonio Conte affidò la leadership, esercitata nei fatti. Con Gigi Buffon non esistono le mezze stagioni. O lo ami o non lo sopporti. I suoi detrattori giudicano che parli troppo e talvolta a vanvera. La verità è che a domanda risponde e, odiando le frasi fatte, va giù diretto. E' fondamentalmente un mite, così quando esplode si sgretolano i muri. In fondo è sempre il ragazzo un po' istintivo, l'ultrà che seguiva in trasferta la Carrarese con il chiodo a pelle anche d'inverno. Dei suoi errori, in campo e fuori, non ne ha occultato uno. Ha scontato tutto. Perché è Gigi Buffon e ogni papera non gli è stata perdonata.
Ha confessato anche la depressione, senza rete.Nella sua autobiografia ha scritto: «Sono fatto così: il pensiero di una cosa nuova mi blocca per un attimo, poi mi butto». E' il momento di buttarsi di nuovo. Dove, per ora, lo sa solo lui.
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