Paris, fenomeno d'argento s'inchina solo a re Svindal

Paris, fenomeno d'argento s'inchina solo a re Svindal

SchladmingLa consacrazione per Dominik Paris arriva in una giornata grigia, tanto per cambiare nevischio e nebbiolina avvolgono Schladming, l'unica macchia di colore la regalano i tifosi, tanti, tantissimi, quasi 50mila, e in molti non sono riusciti ad arrivare, bloccati dal traffico o privi di biglietto. L'Austria aspettava il primo oro o almeno una medaglia, Klaus Kroell correva in casa e campeggiava su tutte le prime pagine dei giornali, la pressione su di lui dev'essere stata tremenda. E' finito quarto, come già Hannes Reichelt in superG. Lutto nazionale.
Già, la pressione. Anche Dominik Paris ne aveva tanta sulle sue potenti spalle, da giorni tutti gli stavano addosso e lo indicavano come favorito. Ma lui si è lasciato scivolare tutto intorno, è rimasto calmo, ha corso il Mondiale come se fosse la gara del club, sapeva quel che doveva fare e l'ha fatto, non è difficile, no? L'ha battuto un uomo, solo uno, un fenomeno, che con l'oro di ieri ha portato a undici il conto delle sue medaglie e che dal 2007 non lascia un grande evento senza essere salito sul podio almeno una volta, unico a vincere due discese mondiali nello sci moderno. E' Aksel Lund Svindal, viene dalla Norvegia e la luce piatta non lo spaventa, perché nel suo paese la luce in inverno non c'è quasi mai. Ieri ha fatto la discesa perfetta, Paris gli è finito a 46/100, felice come se avesse vinto, «perché dopo Kitzbuehel il resto è extra, un bonus».
Un bonus che però gli cambierà la vita, perché una medaglia mondiale in discesa, e che discesa!, a 23 anni sono in pochi a poterla vantare, e se fino a ieri Paris godeva di grande stima fra i colleghi e gli addetti ai lavori, da oggi la sua fama andrà oltre i confini dello sci. Anche perché "Domme" piace, piace a tutti perché è simpatico e divertente, ma soprattutto perché è vero. Non mette mai maschere lui, è com'è, sempre, davanti a una telecamera o davanti a un cameriere, in partenza o all'arrivo, se vince o se perde. Esilaranti alcune sue risposte, ieri. Quanti tifosi sono venuti a vederti? «Non li ho mica contati!». Stasera farai festa? Sono pronti per te dieci litri di birra… «Dieci? Ma non bastano!». Che sci hai usato per la gara? «Nordica!». A lui sembra ridicolo che si possa essere interessati al paio specifico, se era quello che ha vinto a Kitz o l'altro di Bormio, probabilmente non sa nemmeno cosa ha nei piedi quando parte, si fida ciecamente dello skiman. Lui pensa solo a sciare, a rischiare tutto restando possibilmente in piedi, ad arrivare al traguardo veloce il più possibile. Ieri è stato più che altro intelligente. Come Svindal, ha puntato tutto sulla tattica e anche se di sicuro i due non si erano messi d'accordo, le parole di Paris ricalcano quelle del norvegese: «Oggi bisognava tenersi le forze per la parte finale, quella decisiva. Se arrivavi cotto lì non avevi speranze e allora era importante sciare la parte alta con leggerezza, risparmiando energie. L'ho fatto e in fondo ne avevo ancora, anche se appena tagliato il traguardo ho pensato: e adesso come faccio a frenare? Però se ci fossero state altre tre porte le avrei fatte, senza problemi. E' che quando molli di testa le gambe non rispondono più».
Gli chiediamo dell'errore, quello sbilanciamento pericolosissimo che ci ha bloccato il respiro all'attacco del muro finale. «Errore? Quale errore? Ma va, tutto sotto controllo! Oggi ho rischiato meno del solito, non si doveva sbagliare su una pista così». E ride Paris, ride e non si cura di quello che intanto gli esperti dicono di lui: «E' un discesista completo, per essere così giovane ha una continuità incredibile, potrà diventare il nuovo Cuche» (Innerhofer, deluso per il suo 14° posto, ma sinceramente contento per il compagno); «Ha stazza e coraggio da discesista abbinati a piedi d'oro e a grande agilità, è un grande!» (Gianluca Rulfi, l'allenatore dei velocisti azzurri).
Un grande Paris lo è anche nella vita: «Dopo la vittoria di Kitzbuehel avevo detto di voler regalare la casa ai miei genitori (Anna e Albert, ieri in tribuna, ndr) che non ne hanno mai avuta una di proprietà.

Oggi confermo, ma non è che adesso penso di fargli un castello eh, la casa basta, prima però bisognerà trovare un terreno per costruirla!». Il suo manager, lo stesso di Armin Zoeggeler, gongola: «A Sochi fra un anno porterò due uomini d'oro».

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