È storicamente provato che il calcio italiano è figlio della tradizione dei circa seimila oratori distribuiti sul nostro territorio. I nomi del passato più o meno recente sono illustri: Gianni Rivera, che iniziò dai salesiani ad Alessandria, e Marco Tardelli, Francesco Toldo e Demetrio Albertini, cresciuto sul campetto di Villa Raverio dove debuttò con il fratello Alessio, poi diventato prete, sotto la guida di papà Cesare. Fino a Damiano Tommasi, formatosi nell'oratorio del Veronese e ora addirittura capo dell'associazione calciatori dopo una splendida carriera da professionista.
Marco Parolo e Matteo Darmian fanno parte della cerchia sempre più ristretta di quei giocatori. Il laziale, nell'oratorio Don Bosco di Arante, il suo quartiere a Gallarate, era addirittura l'animatore nelle vacanze estive e lì è tornato sei anni fa a raccontare il suo primo gol in serie A. Non a caso Tardelli, a cui è stato paragonato, è il suo idolo. «Di lui vorrei rubare tutto, era un centrocampista completo», così Parolo, diventato uno dei giocatori fondamentali dello scacchiere di Conte. Un «antipersonaggio», ma a lui quest'etichetta non dispiace affatto: «Servono anche giocatori così in un gruppo come la Nazionale. E poi in passato ce ne sono stati tanti...».
Matteo Darmian arriva dall'oratorio di Rescaldina, nel milanese, e fortunato tra quattro a essere scelto dagli osservatori, ha comunque mantenuto i rapporti con gli altri tre, che fanno una vita «normale» rispetto alla sua. «Le critiche a questa Nazionale? - ha detto il calciatore dello United alla Rai - Ci siamo tappati le orecchie, il mister ci ha fatto lavorare sodo. Di Conte colpisce la passione e la determinazione che mette nel suo lavoro».
«Siete sicuri che la partita con l'Irlanda conti poco per lui? - aggiunge Parolo -. Subito dopo la Svezia ci ha rimesso subito sotto, non possiamo calare di intensità, vincere aiuta a vincere». Perché il lavoro e il sacrificio aiuta a farlo. Come ti insegna l'oratorio, una scuola di vita.
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