Morire di passione. Si può. Succede. Per fortuna sempre meno. Per fortuna i progressi nella sicurezza attiva e passiva sono stati enormi. Per sfortuna si tratta però di velocità, di auto, di moto, di ruote che girano, di propulsori che urlano, di manovre da fare, di sorpassi da compiere, di guasti da scongiurare, di errori da evitare, si tratta di frenate, di barriere, di imprevisti. Per sfortuna si tratta soprattutto di fottuto destino. Non quello che accompagna e tormenta e talvolta grazia le nostre vite normali. E' un altro destino, il loro. Un destino invitato insistentemente a partecipare alle loro vite di piloti. Vite appassionate e coraggiose come quella di Anthoine Hubert che non c'è più, come quella di Juan Manuel Correa che per la vita sta ancora lottando. Motoracing is dangerous sta scritto sui pass dell'ultimo dei giornalisti e del primo dei piloti. Più che un invito a fare attenzione, è un cartello posto lungo la strada delle nostre esistenze di addetti ai lavori o di attori di questo splendido e tragico sport. E' un segnale. Un avvertimento. Un memo. Dice a chi scrive, a chi fotografa, a chi guida, compete, supera, accelera, persino al pubblico che paga per guardare, dice occhio che questo non è calcio; e non è nuoto; e non è atletica, basket, volley. E' sport, questo sì, tra i più nobili. Ma è bastardo.
Il mondo delle corse, noi tutti, oggi piangiamo uno splendido e coraggioso ragazzo di 22 anni che ha perso la vita inseguendo la propria passione e il proprio sogno. Ricordiamoci però che il suo era un patto non scritto con il destino. Non è cinico pensarlo. Fa solo meno male.
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