“Non sono emersi elementi a sostegno dell'omicidio”. È questa la conclusione a cui è giunto il procuratore capo di Rimini, Paolo Giovagnoli in merito all’esposto presentato lo scorso anno dalla famiglia di Marco Pantani affinché si scoprisse la verità sulla sua morte, avvenuta nel 2004.
Non “emergono – scrive il pm che ha chiesto l’archiviazione del caso - elementi che facciano ipotizzare condotte dolose della polizia giudiziaria per alterare i risultati delle indagini” e manca persino “un possibile sospetto o un plausibile movente”. Pantani morì in una stanza del residence riminese Le Rose, chiusa dall'interno, dopo aver assunto un mix di psicofarmaci e cocaina ma la procura di Rimini esclude “l'ipotesi di un'assunzione sotto costrizione”, accreditando quindi il sospetto di un omicidio. “Né la notizia di reato né gli esiti delle indagini - scrive il pm Giovagnoli - hanno fatto emergere neppure il nome di un possibile sospettato, diverso dalle persone già processate, o di un ipotetico movente. Nessun elemento concreto è emerso neppure a carico delle persone già processate”.
Anche il professor Franco Tagliaro, consulente della Procura, ha sottoscritto le conclusioni a cui nel 2004 era giunto l’allora consulente del pm, Giuseppe Fortuni, in merito all’assenza di elementi che facciano pensare sospettare di terze persone. “La morte – spiega Tagliaro - sarebbe avvenuta anche in assenza di cocaina, questa però ha avuto un ruolo devastante nel manifestarsi e svilupparsi della sindrome depressiva che ha portato all'assunzione del farmaco”. “Le lesioni sono compatibili con quelle riscontrate in casi di crisi convulsive, - sostiene il consulente mentre si può escludere la possibilità che siano state inflitte da terzi”. La porta della stanza del residence, invece, fu forzata perché c’erano dei mobili che ostacolavano il normale ingresso. Nessuno poteva entrare o uscire, il Pirata era da solo quando è morto.
Secondo Giovagnoli, l’esposto di Antonio De Rensis, legale della famiglia Pantani, non era teso a scoprire nuovi elementi sul caso ma “a far dubitare della correttezza e adeguatezza delle indagini del 2004 e a far ritenere falsi i suoi risultati, verosimilmente per cercare di cancellare l'immagine del campione depresso vittima della tossicodipendenza e dell'utilizzo di psicofarmaci”. Pronta la replica di De Rensis: "Ho letto da qualche parte che noi avremmo fatto allusioni noi non abbiamo fatto alcuna allusione al lavoro di alcuno, quello che noi abbiamo scritto lo hanno detto altre persone, noi cosa dovevamo fare, non dirlo al pubblico ministero? Se per qualcuno queste sono illazioni, per me queste sono delle testimonianze, che è una cosa diversa. Vedremo come altri appartenenti alla magistratura interpreteranno, se diranno che gli infermieri si sbagliano, ricordano male, che l'albergatore si ricorda male, vedremo. Sono testimonianze raccolte con indagini difensive blindate, fonoregistrate in presenza di un sacco di avvocati, tra cui quelli dei testimoni". Nelle intenzioni di De Rensis c’è la volontà di richiedere al Gip di portare le indagini alla Procura generale di Bologna.
Il giudice potrebbe accogliere le richieste della procura riminese oppure disporre nuove indagini. Lo sdegno per la scelta della pm di Rimini è espresso anche dalla madre di Pantani, via Facebook: “Aspettavo questo dopo aver visto l'indifferenza del Procuratore. Sentenza dura, ora inizia la guerra".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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