In panchina all'Europeo va il pragmatismo. Quattro allenatori per raccogliere l'eredità dell'Italia rimasta a Wembley. Luis de la Fuente e Didier Deschamps, Ronald Koeman e Gareth Southgate. Dei quattro la guida della Spagna è stata la più convincente. Spaventato da Kvara, avanti con l'aiutino contro la Germania. Ha sacrificato anche il tiki taka al debutto con la Croazia. Il ct della Francia, dall'alto del suo doppio Mondiale in bacheca, a un certo punto del torneo ha invitato chi gli parlava di noia «a cambiare canale». È arrivato lontano con un rigore, due autogol e una lotteria dei penalty vinta contro l'ultimo Cristiano Ronaldo. L'Olanda è stata accusata di non avere cuore e il suo ct, che quando giocava era soprannominato Rambo, dopo la Turchia ha fatto rimangiare le accuse. L'Inghilterra con un ct che si porta dietro l'onta di Wembley e del Mondiale qatariota è all'ultima chiamata. Southgate si è lasciato andare a un ballo liberatorio dopo settimane difficili. Criticato, ha scoperto che «in Inghilterra sono tutti ct». Quattro commissari tecnici così uguali così diversi. Senza effetti speciali. Più selezionatori che allenatori: nei club non hanno mai lasciato il segno. Loro un passo indietro ai fenomeni: dagli sguscianti Yamal e Nico Williams al Mbappé mascherato e ancora a secco; dal Gakpo delle grandi occasioni al Bellingham volgare e decisivo. C'è chi ha puntato tutto sul gioco, sui visionari. La Germania di Nagelsmann e l'Italia di Spalletti. Respinti con giudizi opposti. Comunque a casa. Come Rangnick e l'Austria o il presuntuoso Yakin e la Svizzera. De la Fuente ha raccolto l'eredità dei visionari spagnoli, da Luis Enrique in giù. Le Furie rosse hanno fatto retromarcia, affidandosi ai curricula vitae federali.
Quello che l'Italia non fa più dai tempi di Vicini e Maldini (Cesare). Le Nazionali non devono essere allenate, ma gestite. L'ha capito (forse) troppo tardi Spalletti. L'Europeo di Germania entra nell'ultima settimana con un poker di risultatisti e zero giochisti.
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