Non puoi cambiare la mamma e la squadra di calcio.
Nella lapidaria fedeltà alla regola non scritta dello stadio, tutto il resto passa in subordine. E il folber dialettizzato da Brera per rinnegare l'anglofonia del termine football racconta quanto il senso di appartenenza del calcio si faccia forte nel distinguo con chi si pensa diverso.
Vlahovic fu chiamato «zingaro» anche quando tornò a Firenze da ex con la maglia della Juventus. Bianco o nero, il giallo all'attaccante dopo il gol in casa dell'Atalanta è arrivato per quel dito messo davanti alla bocca, in risposta a chi stava sugli spalti.
Il precedente è il caso Lukaku, ammonito e poi graziato in Coppa Italia: ora la Figc non può impugnare una squalifica, ma interverrebbe in caso di somma di ammonizioni. Perché «è colpevole chi insulta, non i giocatori che reagiscono», gioca il carico Le Roi, Michel Platini. Ieri in Brianza per l'evento benefico di golf della Fondazione Vialli-Mauro. Ma se le parole hanno un peso, l'ex presidente Uefa apre una crepa alla monolitica frase di condanna, aggiungendo con frase colorita ed essa stessa discriminatoria che «gli arbitri sono un po' strani».
La treccani del gergo da stadio attinge in vari modi al vocabolario dei sinonimi, ad esempio per descrivere le madri o per augurare salute cagionevole ai rivali, in un turpiloquio che va via come il panem, nel circenses 2.0 che gli stadi rappresentano. Quasi che altre sfere personali e private, le stesse garantite dal terzo articolo della carta costituzionale, soffrissero di un vizio di tutela rispetto ad altre discriminazioni. Gasperini, reo dopo Atalanta-Juve di aver aggiunto un «ma» alla condanna in blocco, è stato ripreso dall'Associazione allenatori per aver detto che «il razzismo va condannato, ma nell'Atalanta gioca gente della stessa etnia. Il razzismo riguarderebbe anche i nostri giocatori allora, ma a volte bisogna distinguerlo dall'insulto». Un razzismo di maglia, in altre parole, più simile all'opportunismo di chi ancora ricorda a Real e Barcellona di aver tolto dallo stemma la croce per il dio denaro, rappresentato dai soldi del marketing mediorientale. O della sparizione della culla di Saint Germain dal logo del Psg, ora in mano qatariote.
Chiedere al calcio coerenza è chiederlo alla società, con la consapevolezza che l'arma a disposizione del pallone sia innanzitutto la repressione.
«Chiedo sanzioni severe, non si tratta di episodio isolato», ha infatti tuonato Infantino. Anche se, di fronte all'impossibilità di cambiare quanto accaduto, la frase che ha superato i distinguo l'ha pronunciata Abodi, ministro dello Sport: «Chiediamo scusa a Vlahovic».
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