La rivoluzione del "Ramadan break"

In Premier primo storico stop per far mangiare i giocatori di fede islamica

La rivoluzione del "Ramadan break"

Siamo in pieno Ramadan, il mese sacro per gli islamici. Un periodo dedicato alla preghiera, durante il quale i praticanti adulti devono seguire obblighi a cui non possono tirarsi indietro: dall'alba al tramonto, infatti, non possono mangiare, bere, fumare e praticare sesso.

Regole stringenti, che non fanno sconti praticamente a nessuno, neppure a chi è chiamato a sforzi fisici come i calciatori. E, dal momento che non sempre si gioca dopo il calar del sole, succede che gli atleti scendano in campo senza aver toccato cibo o acqua da diverse ore, mettendo a rischio la loro salute.

Tutto finché non scatta l'ora X, ovvero quando si completa il tramonto e i giocatori sono così liberi di mangiare e dissetarsi. Lo si è visto durante Inter-Fiorentina, quando Amrabat ha divorato una banana pochi secondi dopo le 19.51, e ancor di più lunedì sera nel corso di Everton-Tottenham, quando al 26' l'arbitro David Coote ha fermato ufficialmente il gioco per consentire a Gueye, Doucoure e Onana di rifocillarsi a tramonto avvenuto.

E ciò che è accaduto in Premier è una prima volta storica, perché la scelta di inserire il cosiddetto «Ramadan break» per tutelare i giocatori islamici è arrivata direttamente dal Pgmol, l'organismo degli arbitri inglese. Una decisione di buon senso e affatto banale, che deve essere da esempio per le altre federazioni.

Anche perché, per chi non ne segue i dogmi, il Ramadan può essere di difficile comprensione.

Chiedere per esempio a Kombouaré, tecnico del Nantes, che non ha convocato il difensore Hadjam perché contrario a rinunciare al digiuno: «Non sono io che voglio privarmene, ma è lui che oggi non vuole giocare per le sue convinzioni religiose». Ecco, per l'appunto, uno dei motivi per cui il «Ramadan break» può avere un impatto non indifferente nel mondo del calcio.

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