Stop per due mesi alle trasferte per i tifosi di Roma e Napoli. Come aveva annunciato ieri mattina, il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha firmato il provvedimento.
Il decreto è stato emanato, spiega il Viminale «in considerazione della gravità degli episodi di violenza avvenuti l'8 gennaio scorso lungo l'A1, all'altezza di Arezzo, e del concreto pericolo che tali comportamenti possano ripetersi, con conseguenti rischi di grave pregiudizio per l'ordine e la sicurezza pubblica». Da qui la decisione di «chiusura, a far data da oggi, dei settori ospiti degli stadi dove le società sportive Ssc Napoli e As Roma disputano gli incontri in trasferta». Per lo stesso periodo (due mesi) è stata anche «vietata la vendita di biglietti per l'accesso ai medesimi impianti sportivi e per gli stessi incontri nei confronti delle persone residenti nelle province di Napoli e Roma».
Un decreto erga omnes che non mancherà di suscitare polemiche, considerato che la «misura afflittiva» finisce automaticamente per penalizzare anche la maggioranza di tifosi che con i «pochi» violenti non hanno nulla a che fare. Ma il Viminale qualcosa doveva pur fare, e quindi ecco servito un divieto che non poteva - tecnicamente - distinguere tra ultrà delinquenti e supporter pacifici. Una vexata quaestio che, dal punto di vista giuridico, Piantedosi non ha gli strumenti per dirimere da solo, considerato che l'impunità dei «criminali da stadio» è figlia di una legislazione inadeguata che seguita (come dimostrano le immediate scarcerazione degli ultimi arrestati ndr) ad essere «morbida» verso chi, con la scusa del calcio, commette reati gravissimi: non solo aggressioni, ma anche altro (in primis spaccio di droga). Per lunghi anni - complice anche la diffusa omertà delle società e, in qualche caso, la loro specifica connivenza - i club sono stati ricattati da frange estreme del tifo che trovavano all'ombra delle curve le «zona franca» per poter commettere ogni sorta di affare illecito trasformandolo in diritto acquisito: si è cominciato con il bagarinaggio dei biglietti, poi si è passati al racket del merchandising e poi la situazione è completamente sfuggita di mano. Le violenze sugli spalti, fuori lo stadio o negli autogrill sono la conseguenza di un cordone ombelicale infetto che, almeno finora, non si è voluto - o potuto - tagliare del tutto. Piantedosi ci prova, ma la strada non è facile, almeno fin quando le leggi rimangono queste.
Dal Viminale tengono a precisare che di essere impegnati anche nell'«individuazione dei singoli, cui applicare provvedimenti ad personam come i Daspo».Uno scontro, quello dell'8 gennaio scorso, avvenuto in un luogo altamente simbolico dove l'11 novembre 2007 perse la vita il laziale Gabriele Sandri. Una brutta storia che non ha insegnato nulla. A nessuno.
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