Che cosa perde la F1, che cosa perde lo sport, che cosa perdono i tifosi italiani, che cosa perdono i ferraristi? Nico Rosberg è la summa di quello che dovrebbe essere un pilota. Egoista e generoso. Schietto e misterioso, coraggioso e romantico. E poi è quasi uno di noi. «Io mi sento molto italiano», dice, «tutti i miei amici sono italiani» ripete, «voi non avete idea di quanto italiana sia stata la mia festa ad Abu Dhabi, erano venuti giù tutti i miei compagni di Milano e Monte Carlo e dei tempi del go kart... Gli avevo detto guai gente, non fatevi vedere, sono troppo preso e invece erano tutti al Gp per me».
Parole in italiano, ricordi in italiano, ma più di tutto fatti. Nico non si riempie la bocca con tanti bla bla. Mondiale vinto, giro del mondo per promuovere la Mercedes, voli su voli, l'annuncio del ritiro choc, poi aereo per Bologna, nebbia, dice al comandante del suo jet di cambiare scalo, punta su Firenze, auto, Appennino, veloce e di corsa come ad Abu Dhabi. Tutto pur di ritirare il premio, qui a Bologna, il Casco d'oro di campione del mondo della rivista Autosprint. «Proprio come papà, tanti anni fa». E un aneddoto rende a meraviglia che persona sia questo trentunenne figlio del mondo. Da una vita questo prestigioso premio veniva snobbato dai campioni del mondo dei team stranieri, l'ultimo a ritirarlo era stato Kimi Raikkonen, nel 2007, iridato sulla Ferrari. «Però io lo volevo questo premio, anche perché era da 34 anni che lo notavo sulla scrivania di mio papà Keke, per cui...»
La F1, lo sport, i tifosi italiani, la Ferrari, tutti perdono qualcosa con il suo addio delle corse. La Rossa in primis perché, statene certi, il Cavallino, con i suoi tempi, stava galoppando verso Rosberg. Tutti perdono. Vince solo lui. «Mi emoziona sapere che ci sono famiglie, padri, madri che in questi giorni mi hanno indicato ad esempio per la scelta fatta di lasciare dopo aver raggiunto il mio sogno», ammette quasi imbarazzato.
Nessun ripensamento, nessun rimpianto, solo serenità. «Adesso penso solo a partire per le vacanze, a ridare un marito a mia moglie e un padre a mia figlia. Per il resto mi tengo stretti i biglietti che ho in tasca, direzione Caraibi, e sapete una cosa? Non ho preso i voli di ritorno». Il sorriso lo abbandona solo quando gli tocca ricordare i momenti cruciali della gara di Abu Dhabi, il trenino, Hamilton a far da tappo. Dice: «Non avete idea del livello di tensione che c'era, è stato terribile, guidavo sapendo che al minimo errore sarebbe stato tutto perduto... poi mi sono ritrovato il caro Max (Verstappen) lì davanti, sempre imprevedibile, sempre difficile da superare, e via, ce l'ho fatta, però che rischi. E poi e ancora e soprattutto, proprio quando pensavo ok adesso mi metto qui tranquillo e faccio gli ultimi giri buonino buonino dietro Lewis, ecco che il mio caro compagno di team si mette a rallentare».
Torna a sorridere. «Ma ce l'ho fatta. Il sogno era lì, e l'ho afferrato. E sono fiero di me. Perché, credetemi, nel 2014 avevo perso il mondiale dopo essere stato in vetta a lungo, nel 2015 una stagione difficile, e riuscire a rimettersi in sesto dopo batoste del genere è davvero dura... Chi mi ha aiutato? Quest'anno mi sono affidato a un mental coach ed è stato fondamentale».
E adesso? «No, no, correre in altre categorie per ora no. Adesso sfogherò la mia voglia di adrenalina in famiglia, certo, troverò altre sfide, sto già pensando a molte cose. Ed è qui che spiazza di nuovo tutti e un po' li fa reinnamorare tutti. L'uomo che sogna dice col candore del vicino simpatico di casa: «ho aperto una gelateria a Ibiza....», ride... «però non è che mi metto lì a vendere gelati. Ma ce l'ho, è mia...
Quanto al toto sostituto in Mercedes (il boss Wolff ha ammesso che sta provando con Alonso, ndr), beh, mi piacerebbe fosse uno fortissimo, così da rendere dura la vita al mio amico Lewis» Amico? «Lo eravamo, lo torneremo. Non puoi essere amico quando lotti a trecento all'ora».
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